Rapporti di lavoro

Trasformare in welfare i premi di risultato tassati al 5% può non essere conveniente

L’aliquota ridotta in vigore nel 2023 cambia il rapporto tra contante e servizi. La perdita della detrazione può determinare una riduzione del beneficio

di Diego Paciello

L’articolo 1, comma 63, della legge di Bilancio 2023 ha stabilito la riduzione dal 10% al 5% dell’imposta sostitutiva dell’Irpef e delle addizionali regionali e comunali sulle somme erogate, nell’anno 2023, sotto forma di premi di produttività previsti dall’articolo 1, comma 182, della legge 208/2015. La nuova aliquota è applicabile agli importi erogati a seguito della sottoscrizione di accordi aziendali o dell’adesione ad accordi territoriali, nei quali si preveda che il premio sia subordinato al verificarsi di incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienza e innovazione aziendali. Restano confermati il limite di importo dei premi ammessi all’agevolazione fiscale (3.000 euro lordi annui), i soggetti beneficiari (titolari di reddito da lavoro dipendente fino a 80.000 euro nell’anno precedente a quello di erogazione del premio) nonché la facoltà di convertire, in tutto o in parte, i premi maturati in beni, opere e servizi di welfare aziendale.

In questo periodo moltissime aziende si stanno accingendo a consuntivare i premi eventualmente maturati e, di conseguenza, a consentire ai lavoratori la conversione in welfare degli stessi. Ma il dimezzamento dell’aliquota dell’imposta sostitutiva, dal 10 al 5%, in vigore quest’anno può cambiare la convenienza di tale operazione rispetto al passato. A questo proposito si rende necessaria un’attenta valutazione di quali potrebbero essere le voci di spesa in cui i lavoratori potrebbero voler convertire il proprio premio: sostituirlo con un onere detraibile o deducibile potrebbe, infatti, risultare addirittura non conveniente per il dipendente.

L’ESEMPIO

Considerando un premio maturato pari a 1.000 euro lordi, in caso di erogazione in denaro il dipendente riceverebbe un netto pari a circa 863 euro (per effetto di 92 euro di contributi e 45 euro di imposta sostitutiva). Se il dipendente convertisse integralmente il proprio premio in un onere detraibile, ad esempio le spese per la retta dell’università del figlio, potrebbe sì farsi rimborsare 1.000 euro netti, ma perderebbe la detrazione d’imposta del 19%, pari a 190 euro (questo perché se sostenesse direttamente la spesa beneficerebbe della detrazione che invece non è prevista in caso di “pagamento” tramite welfare aziendale). Il beneficio netto della conversione sarebbe quindi pari a 810 euro (1.000 meno la detrazione d’imposta persa di 190 euro) contro i circa 863 euro netti del premio ricevuto in denaro: la conversione in welfare porta quindi a una riduzione di efficienza pari a circa 53 euro.

La situazione potrebbe essere riequilibrata da quella che ormai rappresenta una prassi consolidata di mercato, cioè l’erogazione di somme “on top” da parte del datore di lavoro a chi converte il premio in welfare. Di fatto, il datore di lavoro eroga al dipendente parte del risparmio contributivo derivante dalla conversione in welfare del premio individuale. Mettere a disposizione di chi converte un 10-15% in più dell’importo di premio convertito consentirebbe, riprendendo l’esempio sopra riportato, al lavoratore di avere un budget spendibile in welfare pari a 1.150 euro netti contro gli 863 euro netti del premio in denaro. Anche considerando la perdita della detrazione d’imposta del 19% sui 1.150 euro, pari a 218,50 euro, il beneficio netto per coloro che convertono il premio in welfare sarebbe pari a 931,5, contro gli 863 circa di chi ha ricevuto il premio in denaro. In questo secondo caso, quindi, il contributo “on top” alla conversione consente al dipendente un maggiore potere d'acquisto netto di 68,5 euro rispetto al premio erogato in denaro.

Alla luce di quanto rappresentato, emerge chiaramente quanto diventi ancora più rilevante, per i lavoratori, avere consapevolezza di quali sono gli oneri detraibili e deducibili tra i servizi di welfare aziendale, e per i datori di lavoro, valutare eventuali contributi alla conversione in welfare.

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