Il CommentoPrevidenza

Tutela assicurativa contro le malattie professionali: il caso del danno da lavoro usurante

di Pasquale Dui

In anteprima da Guida al Lavoro n. 47 del 25 novembre 2022

Il sistema di tutela contro le malattie professionali, evoluzione storica
Storicamente, la tutela previdenziale delle malattie professionali, quale risulta dal TU del 1965, è stata sempre più selettiva di quella che riguarda gli infortuni sul lavoro.Innanzitutto essa è strutturata in forma accessoria rispetto a quella contro gli infortuni sul lavoro, sicché si estende soltanto agli addetti alle lavorazioni comprese tra quelle alle quali si applica quest'ultima. Ma essa è selettiva soprattutto perché, per poter avere accesso alle specifiche prestazioni si richiede che il lavoro sia la causa diretta e determinante della tecnopatia, non già soltanto l'occasione, come si richiede per l'infortunio.Un ulteriore limite (che l'evoluzione della materia ha consentito di poter superare, seppur parzialmente) è rappresentato dal fatto che la tutela in questione è legata al c.d. "rischio tabellare".I caratteri del sistema tabellare consistono:– Nella predeterminazione, mediante elenchi tassativi, di malattie "tipiche", cioè ritenute, allo stato delle conoscenze scientifiche e dei dati di esperienza statisticamente rilevabili, eziologicamente derivanti da un dato agente patogeno, o di malattie (non tipiche, causate da un dato agente patogeno (il quale costituisce, dunque, in entrambi i casi, il fulcro della tassatività);– Nell'indicazione, del pari tassativa, delle lavorazioni ritenute morbigene;– Nella predeterminazione del periodo di tempo massimo entro il quale la malattia deve manifestarsi, per essere riconosciuta in rapporto causale con l'attività professionale, e quindi indennizzabile.Istanze interpretative a favore di un sistema "misto", più cedevole alle istanze di tutela costituzionali (art. 38), era da più parti caldeggiato e, a fronte della perdurante inerzia del legislatore, un contributo decisivo è stato, a tal proposito, apportato nel 1988 dalla Corte Costituzionale, la quale, formalmente collegandosi al precedente orientamento, ma di fatto superandolo, ha dichiarato che la disciplina di tutela delle malattie professionali, dettata dal TU del 1965, è, in più parti, non conforme ai precetti costituzionali.Segnatamente la Corte, con sentenza 179/1988, ha dichiarato incostituzionale sia le norme che, tanto per il settore industriale che per quello agricolo, non prevedono l'assicurazione obbligatoria "anche per le malattie delle quali sia comunque provata la causa di lavoro" (artt. 3 e 211), sia le norme che fissano un termine massimo entro il quale la malattia professionale deve manifestarsi, perché possa essere indennizzata (artt. 134 e 254).Da tale momento, pertanto, è venuta a coesistere, nel vigente ordinamento previdenziale, accanto al sistema tabellare suddescritto, la tutela di qualsiasi altra forma morbosa, anche se riferibile a lavorazioni non previste dalla tabella e se insorta al di fuori del periodo massimo di indennizzabilità.Ovviamente, in tal caso non opera la presunzione di origine e, dunque, l'assicurato ha l'onere della prova della derivazione causale della malattia dall'attività lavorativa svolta.Il caso di specie
Nel caso di specie, una lavoratrice lamentava di aver contratto una malattia professionale, consistente in un grave disturbo dell'adattamento con ansia e depressione, a causa dello stress lavorativo cagionatole da un elevatissimo numero di ore di lavoro straordinario.La Corte d'Appello di Brescia, pur riconoscendo l'esistenza dello stato patologico della ricorrente, aveva escluso l'indennizzabilità della malattia ad opera dell'INAIL, in quanto non rientrante nell'ambito del rischio assicurato ai sensi dell'art. 3 del T.U. n. 1124/1965, che ha ad oggetto solo le malattie professionali tabellate o non tabellate, purché contratte nell'esercizio e a causa delle lavorazioni specifiche previste in tabella.In altri termini, per la Corte d'Appello la malattia da cui era affetta la lavoratrice non era riconducibile al rischio assicurato dal Testo Unico, in adesione ad una precedente pronuncia del Consiglio di Stato, n. 1576 del 17 marzo 2009, richiamata nella sentenza d'appello.Va detto che tale motivazione sottintende una visione della realtà legislativa del complesso di tutela alle origini della tutela stessa, basata originariamente da un sistema assicurativo tradizionale, imposto ai datori di lavoro del settore industria.Piuttosto, la domanda attivata in giudizio era di estendere la tutela previdenziale ad una patologia che non ha alcun nesso causale con i fattori di rischio indicati da quelle tabelle, in quanto non cagionata dallo svolgimento di un'attività che possa essere considerata patogena.La decisione della Suprema Corte e le argomentazioni
La Suprema corte (sez. lav., ord. 25 ottobre 2022, n. 31514) ha ritenuto fondato il ricorso, risultando per contro la decisione impugnata non in linea con l'ordinamento vigente e con la costante e coerente evoluzione impressa dalla stessa Corte di legittimità - cui è riservata dall'ordinamento l'esercizio della funzione di nomofilachia - al concetto di rischio tutelato ex art. 1 del TU, richiamato, ai fini delle malattie professionali, dal successivo art. 3. Ciò sulla base delle seguenti osservazioni e argomentazioni.Invero, secondo un risalente e consolidato orientamento giurisprudenziale, in materia, rileva non soltanto il rischio specifico proprio della lavorazione, ma anche il c.d. "rischio specifico improprio", ossia non strettamente insito nell'atto materiale della prestazione ma collegato con la prestazione stessa: come la Corte ha affermato in svariate occasioni (per le attività prodromiche, per le attività di prevenzione, per gli atti di locomozione interna, le pause fisiologiche, le attività sindacali) ex art. 1 TU in materia di infortuni sul lavoro (cfr., tra le tante, Cass. 13882/2016, Cass.7313/2016, Cass. 27829/2009; Cass. 10317/2006, Cass. 16417/2005, Cass.7633/2004, Cass.3765/2004).La Corte, sui punti specifici della fattispecie oggetto di causa, richiama Cass. 8948/2020; Cass 5066/2018, al contenuto della quale si ispira ampiamente.Lo stesso orientamento è stato riaffermato, a proposito dell'art. 3 TU, nella sentenza n. 3227/2011, con la quale la protezione assicurativa è stata estesa alla malattia riconducibile all'esposizione al fumo passivo di sigaretta subita dal lavoratore nei luoghi di lavoro, situazione ritenuta meritevole di tutela ancorchè, certamente, non in quanto dipendente dalla prestazione pericolosa in sè e per sè considerata (come "rischio assicurato"), ma soltanto in quanto connessa al fatto oggettivo dell'esecuzione di un lavoro all'interno di un determinato ambiente;L'evoluzione in discorso si riallaccia pure a quella registrata a livello normativo nell'ambito dell'infortunio in itinere, ai sensi del D.Lgs. n. 38 del 2000, art. 12, il quale esclude in realtà qualsiasi rilevanza all'entità professionale del rischio o alla tipologia della specifica attività lavorativa cui l'infortunato sia addetto; apprestando tutela ad un rischio generico (quello della strada) cui soggiace, in realtà, qualsiasi persona che lavori (Cass. 7313/2016);Una ulteriore estensione dell'ambito della tutela assicurativa è stata realizzata sulla scorta della nozione centrale di rischio ambientale, che vale oggi a delimitare tanto oggettivamente le attività protette dall'assicurazione (lo spazio entro il quale esse si esercitano, a prescindere dalla diretta adibizione ad una macchina); quanto ad individuare i soggetti che sono tutelati nell'ambito dell'attività lavorativa (tutti i soggetti che frequentano lo stesso luogo a prescindere dalla "manualità" della mansione ed a prescindere dal fatto che siano addetti alla stessa macchina); in conformità al principio costantemente affermato dalla giurisprudenza costituzionale secondo cui a parità di rischio occorre riconoscere parità di tutela (con riferimento al rischio ambientale, Corte Cost. 206/1974; 114/1977 n. 114); in tal senso la Suprema Corte si è espressa a sezioni unite con la pronuncia 3476/1994, rapportando la tutela assicurativa "al lavoro in sè e per sè considerato e non soltanto a quello reso presso le macchine", essendo appunto la pericolosità data dall'ambiente di lavoro;Nella stessa direzione muove la nota sentenza della Corte Cost. n. 179/1988 che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 3, comma 1, del testo unico numero 1124 del 1965 nella parte in cui non prevede che "l'assicurazione contro le malattie professionali nell'industria è obbligatoria anche per le malattie diverse da quelle comprese nelle tabelle allegate concernenti le dette malattie e da quelle causate da una lavorazione specificata", talchè, come riconosciuto da questa Corte con sentenza n. 5577/1998, l'assicurazione contro le malattie professionali è obbligatoria per tutte le malattie anche diverse da quelle comprese nelle tabelle allegate al citato testo unico e da quelle causate da una lavorazione specificata o da un agente patogeno indicato nelle tabelle stesse, purchè si tratti di malattie delle quali sia comunque provata la causa di lavoro;Pertanto, non può essere seguita la tesi espressa dalla sentenza impugnata e secondo cui sarebbe da escludere che l'assicurazione obbligatoria possa coprire patologie che non siano correlate a rischi considerati specificamente nelle apposite tabelle; posto che, al contrario, nel momento in cui il lavoratore è stato ammesso a provare l'origine professionale di qualsiasi malattia, sono necessariamente venuti meno anche i criteri selettivi del rischio professionale, inteso come rischio specificamente identificato in tabelle, norme regolamentari o di legge; non potendosi sostenere che la tabellazione sia venuta meno solo per la malattia e sia invece sopravissuta ai fini dell'identificazione del rischio tipico, ai sensi degli artt. 1 e 3 del TU;Tale interpretazione è oggi confermata testualmente dalla L. n. 38 del 2000, art. 10, comma 4 dal quale risulta che "sono considerate malattie professionali anche quelle non comprese nelle tabelle di cui al comma 3 delle quali il lavoratore dimostri l'origine professionale";L'approdo, cui conduce questo lungo excursus, porta ad affermare che, nell'ambito del sistema del TU, sono indennizzabili tutte le malattie di natura fisica o psichica la cui origine sia riconducibile al rischio del lavoro, sia che riguardi la lavorazione, sia che riguardi l'organizzazione del lavoro e le modalità della sua esplicazione; dovendosi ritenere incongrua una qualsiasi distinzione in tal senso, posto che il lavoro coinvolge la persona in tutte le sue dimensioni, sottoponendola a rischi rilevanti sia per la sfera fisica che psichica (come peraltro prevede oggi a fini preventivi l'art. 28, comma 1 del tu. 81/2008);In conclusione, ogni forma di tecnopatia che possa ritenersi conseguenza di attività lavorativa risulta assicurata all'INAIL, anche se non è compresa tra le malattie tabellate o tra i rischi tabellati, dovendo in tale caso il lavoratore dimostrare soltanto il nesso di causa tra la lavorazione patogena e la malattia diagnosticata;A tale ricostruzione fa altresì riscontro il fondamento della tutela assicurativa, il quale ai sensi dell'art. 38 Cost., deve essere ricercato, non tanto nella nozione di rischio assicurato o di traslazione del rischio, ma nella protezione del bisogno a favore del lavoratore, considerato in quanto persona; dato che la tutela dell'art. 38 non ha per oggetto l'eventualità che l'infortunio si verifichi, ma l'infortunio in sè; ed è questo e non la prima l'evento generatore del bisogno tutelato, sia in termini individuali che sociali, posto che, come riconosciuto dalla Corte Cost. l'"oggetto della tutela dell'art. 38 non è il rischio di infortuni o di malattia professionale, bensì questi eventi in quanto incidenti sulla capacità di lavoro e collegati da un nesso causale con attività tipicamente valutata dalla legge come meritevole di tutela" (sentenza n.100 del 2.3.1991);Nella stessa ottica, pertanto, non può neppure sostenersi - al contrario di quanto affermato dalla sentenza impugnata - che il premio assicurativo abbia la funzione di delimitare la tutela assicurativa a rischi precisamente individuati in base alle tabelle; assolvendo invece la precipua funzione di provvedere al finanziamento del sistema, in conformità ai requisiti costitutivi della tutela nei termini fin qui ricostruiti: "il distacco dell'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro dal concetto statistico-assicurativo di rischio, al quale era originariamente legata (distacco che può considerarsi compiuto con la sentenza di questa Corte numero 179 del 1988) è sollecitata da un'interpretazione dell'art. 38, comma 2, coordinata con l'art. 32 Cost. allo scopo di garantire con la massima efficacia la tutela fisica e sanitaria dei lavoratori" (ancora Corte Cost. n. 100/1991);