Rapporti di lavoro

Un malessere delle categorie che ha più di un motivo

immagine non disponibile

di Maria Carla De Cesari

C’è un soffio di speranza nei dati delle dichiarazioni fiscali dei professionisti relative al 2015. La crescita dei redditi - dopo tre anni di flessione - può essere ricompresa tra gli indicatori di un ciclo economico-finanziario che ha cambiato verso. Certo, parte dell’attività dei professionisti è stata indirizzata, in quest anni, a processi di ristrutturazione come rimedio alla crisi, e l’opera di riorganizzazione ha avuto un riflesso sulle parcelle di alcune categorie e realtà professionali. Tuttavia, ciò che ora fa la differenza è l’aumento generalizzato dei redditi, dai notai alle professioni tecniche, che più di altre hanno risentito delle difficoltà di questi anni.

Le medie statistiche spesso non restituiscono un quadro esaustivo delle realtà di un Paese lungo e stretto, e ciò è ovviamente vero anche quando parliamo di universi professionali, con i giovani che ancora continuano a soffrire e con vaste aree del Paese, specie al Sud, che tradizionalmente faticano a far quadrare i conti.

In un bilancio che va però volgendo in positivo colpisce come il malessere dei professionisti stia riprendendo fiato. Tra l’autunno e l’inizio dell’inverno era stata la «manovra» di semplificazione a scatenare - per la mole di complicazioni fiscali - lo scontento e la protesta dei professionisti, con la minaccia del primo sciopero da parte dei commercialisti. Ora, dopo la manovra di primavera i professionisti stanno di nuovo scendendo in piazza. La protesta è contro la manovra che ostacola il recupero dell’Iva e che rende più tortuoso compensare in automatico debiti e crediti tributari.

Tuttavia, queste misure non sono destinate in esclusiva ai professionisti. Dunque, c’è qualcosa di più nel senso di frustrazione e, anzi, di ribellione di un mondo che per decenni ha fatto della lontananza dalla piazza una delle cifre del decoro.

Se si guarda solo agli ultimi due o tre anni colpisce il repertorio di leggi che ha acceso le proteste: si va dall’abolizione del regime dei minimi per le partite Iva alla gragnuola di adempimenti fiscali per inondare l’Anagrafe tributaria di dati (con effetti pratici tutti da verificare), fino all’imposizione dello split payment (cioè l’impossibilità di recuperare l’Iva pagata quando si è fornitori di una pubblica amministrazione o di una società quotata poiché l’imposta è direttamente trattenuta o versata all’Erario).

Il legislatore sembra ignorare le specificità di un mondo articolato, ma caratterizzato dal predominio del patrimonio intellettuale, organizzato in Ordini oppure semplicemente con la partita Iva. Per i professionisti che hanno un Albo ci può essere il vantaggio del biglietto da visita: «dottore...» con attività di riferimento enucleate per legge. Per le partite Iva, invece, c’è il campo senza rete delle attività non attribuite per legge, in esclusiva o come riserva.

Eppure, per tutti - per chi ha un Ordine e per chi non ce l’ha - in questi anni il mercato ha insegnato come occorra esplorare nuove strade, per venire incontro alle domande di imprese e consumatori e per evitare di finire marginali anche per via della tecnologia e delle procedure informatizzate, oppure di fronte alla concorrenza delle organizzazioni di servizi multinazionali e multiprofessionali.

Per decenni, il dibattito intorno ai professionisti è ruotato intorno al paradigma degli Ordini, senza prestare troppa attenzione agli effetti concreti delle misure: l’apertura alla pubblicità fa bene ai professionisti e ai loro clienti? Come deve essere fatta una comunicazione che allarghi le possibilità di scelta del consumatore e estenda il campo d’azione dei professionisti?

Dopo la riforma votata sull’orlo della crisi finanziaria tra il 2011 e il 2012 - con l’apertura alla pubblicità, l’abolizione delle tariffe e l’introduzione, con l’eccezione degli avvocati, delle società professionali anche con il socio di capitale, nulla è stato fatto per verificare la bontà e le conseguenze delle misure. Lo scoppio della crisi, anche per chi fa della conoscenza intellettuale il proprio lavoro, è stato per lungo tempo ignorato, a costo di arrivare con il fiato corto anche con le misure a tutela dei dipendenti dei professionisti. Insomma, la costante del legislatore è una certa indifferenza, cui da ultimo ha forse posto un po’ di rimedio il disegno di legge sul lavoro autonomo, che contiene interventi a favore degli studi, dalle penalizzazioni per chi paga in ritardo le parcelle, all’accesso - a regime - ai fondi comunitari.

Eppure, anche un provvedimento in gran parte positivo rischia di perdersi nel clima di sfiducia dei professionisti. Norme fiscali sbagliate, riforme non monitorate, incapacità nel disegnare aiuti per chi è in difficoltà rischiano di riportare indietro indietro le lancette del dibattito. La richiesta dell’equo compenso suona, con un cambio di lessico, come la voglia di tornare alle tariffe, con l’illusione che i valori fissati per legge possano rimediare a sperequazioni che pure caratterizzano le professioni. Ci si dimentica forse come i valori fissi non tutelino nei confronti di chi ha un forte potere contrattuale e danneggino o non sostengano la parte debole, consumatore o professionista.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©