Contrattazione

Rifiuto del part-time, possibile il licenziamento per giustificato motivo oggettivo

Per la Cassazione il datore di lavoro deve dimostrare che sussistono delle esigenze economiche e organizzative effettive incompatibili con il mantenimento di una prestazione a tempo pieno

di Valeria Zeppilli

Il rifiuto del lavoratore di trasformare il proprio rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale o viceversa, per chiara lettera della legge, non può rappresentare un giustificato motivo di licenziamento. A stabilirlo nella legislazione vigente, più nel dettaglio, è l'articolo 8, comma 1, del decreto legislativo numero 81 del 2015.
Si tratta, tuttavia, di una previsione che va letta con adeguata attenzione, come fatto dalla Corte di cassazione, la quale, in un'ordinanza di qualche giorno fa (sezione lavoro, 9 maggio 2023, n. 12244), ha precisato che la norma non va considerata in maniera rigida, come una previsione che impedisce sempre e comunque di porre il rifiuto del part-time alla base di un recesso per giustificato motivo oggettivo. Più correttamente, secondo i giudici di legittimità, si tratta di una previsione che – testualmente – «comporta una rimodulazione del giustificato motivo oggettivo e dell'onere della prova posta a carico di parte datoriale».
In concreto, ciò vuol dire che il datore di lavoro che licenzia un dipendente che si è rifiutato di ridurre il proprio orario di lavoro, trasformando il contratto da tempo pieno a tempo parziale, per rendere il suo recesso legittimo deve dimostrare che sussistono delle esigenze economiche e organizzative effettive incompatibili con una prestazione full-time e che consentano esclusivamente il mantenimento di una prestazione part-time. Non solo: la parte datoriale deve inoltre provare di aver proposto la trasformazione del rapporto e di aver ottenuto un rifiuto da parte del lavoratore e che il licenziamento è causalmente collegato alle esigenze di riduzione di orario.
La previsione di cui all'articolo 8, comma 1, del sopra richiamato decreto 81, quindi, non va intesa in senso assoluto, come un divieto categorico: si tratta, piuttosto, di un divieto da leggersi in maniera strettamente letterale, che non impedisce di intimare un licenziamento per impossibilità di utilizzare una prestazione a tempo pieno associata al rifiuto del lavoratore di trasformare il proprio rapporto in un part-time. In presenza di un simile rifiuto, in altre parole, quest'ultimo diventa «una componente del più ampio onere della prova» gravante sul datore di lavoro che ha intimato un licenziamento per giustificato motivo oggettivo per difficoltà economiche e organizzative.
Nonostante tutto ciò, come precisato dalla stessa Corte di cassazione, non è comunque possibile escludere che il licenziamento rappresenti nei fatti una ritorsione rispetto al rifiuto del lavoratore di trasformare il proprio rapporto di lavoro con riduzione d'orario. In tal caso il licenziamento è nullo, ma la nullità deve essere suffragata dalla prova – a carico del lavoratore e possibile anche con il ricorso a presunzioni – che l'intento ritorsivo abbia avuto efficacia determinante esclusiva del recesso, anche rispetto ad altri elementi che possono risultare rilevanti per configurare una giusta causa o un giustificato motivo.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©