Rapporti di lavoro

Permessi per lutto incompatibili con la cassa integrazione

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di Paolo Rossi

L'emergenza sanitaria in corso ha indotto numerosissime aziende a fare uso delle disposizioni speciali introdotte dei decreti legge n. 18/2020 e n. 9/2020 in materia di integrazioni salariali ordinarie e in deroga, anche in considerazione del contestuale blocco ai licenziamenti individuali e collettivi disposto dall'articolo 46 del citato Dl n. 18/2020. Per effetto di questa norma, le aziende che, in altri momenti, avrebbero immediatamente licenziato (vedi le aziende del turismo il cui scenario di ripresa più favorevole fissa il "the day after" a non prima di 12/18 mesi), di fatto sono state costrette a ripiegare sulle integrazioni salariali, in attesa di definire le loro politiche del personale.
Spesso si è discusso della compatibilità e dei criteri di gerarchia tra le assenze tutelate e la cassa integrazione guadagni, che sia erogata attraverso la Cigo, l'Assegno ordinario o la Cassa integrazione in deroga da Covid-19; o anche della compatibilità tra le integrazioni salariali e gli istituti di retribuzione indiretta e differita (vedi mensilità aggiuntive, ferie, Tfr, integrazione malattia, maternità, ecc.). In questo elenco, mancano ancora alcuni istituti che possono mettere in crisi gli operatori del settore rispetto al grado di compatibilità e gerarchia con le integrazioni salariali.
Uno fra questi è il permesso per lutto o per grave infermità ex articolo 4, comma 1, della legge n. 53/2000.
Nell'ambito dei permessi e congedi predisposti a sostegno della maternità e della paternità, e del diritto alla cura di familiari e parenti in situazione di disabilità, l'articolo 4 della legge 8 marzo 2000, n. 53, al comma 1 disciplina il diritto a un particolare tipo di permesso retribuito spettante al lavoratore in occasione della perdita di familiari e parenti. Il diritto al permesso è esteso anche ai casi di documentata infermità degli stessi familiari e parenti. Da notare che la norma ricomprende espressamente anche i conviventi more uxorio del lavoratore tra l'elenco dei congiunti dante causa, purché la stabile convivenza con il lavoratore richiedente risulti da certificazione anagrafica.
La legge n. 53/2000, precisamente, prevede che «La lavoratrice e il lavoratore hanno diritto ad un permesso retribuito di tre giorni lavorativi all'anno in caso di decesso o di documentata grave infermità del coniuge o di un parente entro il secondo grado o del convivente, purché la stabile convivenza con il lavoratore o la lavoratrice risulti da certificazione anagrafica. In alternativa, nei casi di documentata grave infermità, il lavoratore e la lavoratrice possono concordare con il datore di lavoro diverse modalità di espletamento dell'attività lavorativa».
Per fruire del permesso, il lavoratore deve comunicare previamente al datore di lavoro l'evento che dà titolo al permesso medesimo e i giorni nei quali esso sarà utilizzato. I giorni di permesso devono essere utilizzati entro sette giorni dal decesso o dall'accertamento dell'insorgenza della grave infermità o della necessità di provvedere a conseguenti specifici interventi terapeutici.
La norma classifica l'istituto in esame come "permesso retribuito". Tradizionalmente i "permessi" hanno la funzione di consentire al lavoratore di non prestare attività lavorativa in giorni o periodi in cui lo stesso necessiti di occuparsi di questioni attinenti la sua vita familiare o di relazione. Quindi, già in prima analisi, si può affermare che laddove il lavoratore è in condizione di non lavoro, la richiesta del permesso non avrebbe ragion d'essere.
L'articolo 4 in questione, al comma 4, prevede altresì che «il Ministro per la solidarietà sociale, con proprio decreto, di concerto con i Ministri della sanità, del lavoro e della previdenza sociale e per le pari opportunità, provvede alla definizione dei criteri per la fruizione dei congedi di cui al presente articolo, all'individuazione delle patologie specifiche ai sensi del comma 2, nonché alla individuazione dei criteri per la verifica periodica relativa alla sussistenza delle condizioni di grave infermità dei soggetti di cui al comma 1».
In attuazione di tale norma è stato emanato il Dpcm 21 luglio 2000 n. 278, che all'articolo 1, comma 3, riferendosi espressamente ai permessi per lutto oggetto della trattazione, sancisce che «Nei giorni di permesso non sono considerati i giorni festivi e quelli non lavorativi».
Dunque, la logica del "permesso" come sopra spiegata, avente la funzione di liberare il lavoratore dall'obbligo della prestazione lavorativa, è confermata dalla previsione del Dpcm attuativo citato, laddove esclude la possibilità di utilizzare i permessi in questione nei giorni «non lavorativi», proprio in ragione del fatto che il lavoratore non ha l'obbligo contrattuale, in tali giorni, di prestare l'attività di lavoro per cui si è impegnato contrattualmente.
Si può concludere, pertanto, che i permessi ex articolo 4, comma 1, della legge n, 53/2000, sono certamente incompatibili con l'ipotesi di sospensione del rapporto di lavoro a zero ore, per effetto dell'intervento di uno strumento di integrazione salariale, disposto a seguito dell'emergenza Covid-19 o per qualsiasi altra causa. Le ragioni per cui si conclude verso tale lettura, similmente a quanto sopra precisato, risiedono sul presupposto che i permessi non sono fruibili nei giorni in cui non è prevista la prestazione lavorativa perché non è impedito dal dedicarsi alla sua vita familiare.
Diversamente, deve preferirsi una soluzione opposta quando il lavoratore è in riduzione "orizzontale" dell'orario di lavoro, con intervento parziale dell'integrazione salariale, per esempio quando le ore giornaliere contrattuali di lavoro vengono lavorate solo in parte e in parte coperte da ore di integrazione salariale. In tal caso, il lavoratore si potrebbe trovare in una situazione in cui la prestazione parziale impedisca di adempiere ai suoi gravosi impegni familiari generatosi dal decesso di un congiunto o di una sua sopravvenuta grave infermità.
Al riguardo, giova ricordare che sulla valutazione e individuazione della «grave infermità», il Ministero si è pronunciato con una nota del 25 novembre 2008, Prot. n. 25/I/0016754, e con l'interpello n. 16 del 10 giugno 2008.

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