Contenzioso

L’onere di provare il licenziamento orale spetta al lavoratore

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di Alberto De Luca e Raffaele Di Vuolo

Torna di attualità il tema della ripartizione dell'onere della prova nell'impugnazione del licenziamento orale. Con sentenza 3822 in data 8 febbraio 2019, la Corte di cassazione ha infatti ribadito, confermando il proprio orientamento sul punto, che spetta sempre al lavoratore fornire la prova (evidentemente non sempre agevole) del licenziamento orale impugnato, per rifuggire così il rischio che la cessazione del rapporto venga imputata ad altre manifestazioni di volontà (dimissioni o risoluzione consensuale per fatti concludenti).

Così, la prova della mera interruzione delle prestazioni da parte del lavoratore non è circostanza di per sé sufficiente a fornire la prova circa il fatto costitutivo della domanda.

La vicenda in esame trae origine dal giudizio di impugnazione della cessazione di un rapporto di lavoro, che il dipendente riteneva imputabile a licenziamento orale e, al contrario, il datore di lavoro considerava dovuta a dimissioni.

Il giudice di primo grado aveva inizialmente accolto l'impugnazione del lavoratore con decisione confermata in Corte d'appello, ravvisando che essendo pacifica e incontestata la cessazione del rapporto di lavoro, il dipendente aveva pertanto correttamente adempiuto il proprio onere probatorio relativo alla estromissione dal rapporto, anche in considerazione della mancata prova da parte della società delle dimissioni eccepite.

La Corte di cassazione, chiamata ad esprimere giudizio di legittimità sull'argomento, ha rilevato una lacuna nel percorso argomentativo dei giudici di merito, allorché hanno considerato sufficiente ai fini dell'accoglimento della domanda del lavoratore l'acclarata intervenuta cessazione del rapporto, ritenuta pacifica tra le parti, sebbene le stesse la imputassero l'una reciprocamente alla manifestazione di volontà dell'altra.

Pur dando atto dell'esistenza di un orientamento più garantista che vede gravato il lavoratore, nel licenziamento orale, solo dell'onere di provare l'intervenuta cessazione del rapporto (Cassazione 10651/2005, 7614/2005; 5918/2005; 22852/2004; 2414/2004), la Corte si è allineata ad altro orientamento, più recente ma meno tutelante per il prestatore (31501/2018) in base al quale, in caso di dedotto licenziamento orale, spetta al lavoratore la prova circa la sua "estromissione" dal rapporto di lavoro ad opera del datore di lavoro, che è concetto più specifico rispetto alla semplice "cessazione del rapporto di lavoro", e che presuppone un atto datoriale consapevolmente volto ad espellere il lavoratore. Ciò in quanto la cessazione definitiva nell'esecuzione delle prestazioni derivanti dal rapporto di lavoro non è di per sé sola idonea a fornire la prova del licenziamento, trattandosi di circostanza di fatto di significato polivalente, in quanto può costituire l'effetto di molteplici manifestazioni di volontà (licenziamento, dimissioni, o risoluzione consensuale).

Conclude la Corte, cassando con rinvio la sentenza impugnata, che nel caso in cui sussista un'incertezza probatoria in merito alla circostanza posta alla base della cessazione del rapporto, dovrà trovare applicazione il regime dell'onere della prova previsto dall'articolo 2697 del codice civile (secondo cui «chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento») e, pertanto, il lavoratore che non abbia provato il fatto costitutivo della sua domanda la vedrà respinta, anche qualora neppure il datore di lavoro riesca a fornire la prova delle dimissioni del dipendente. Ciò, in ossequio al principio processuale secondo cui l'onere probatorio del convenuto in ordine alle eccezioni formulate sorge solo qualora l'attore abbia fornito la prova dei fatti posti a fondamento della domanda.

La vicenda in esame, e la stessa pronuncia della Corte qui riassunta, solleva un evidente contrasto interpretativo rispetto al quale si attende dunque un intervento dirimente delle sezioni unite.

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