Contenzioso

Lecito il contratto di somministrazione più breve del picco di lavoro

di Giuseppe Bulgarini d'Elci

Nell'ambito di un contratto di somministrazione a tempo determinato, se sono confermati i picchi produttivi che giustificano il ricorso ad un termine di durata del rapporto, il periodo temporale di utilizzo del lavoratore è nella libera disponibilità del datore di lavoro e non può essere oggetto di sindacato da parte del giudice.
Deve, dunque, essere confermata la legittimità del contratto di somministrazione a termine nel quale sia stata prevista l'utilizzazione del lavoratore per una causale effettivamente collegata ad un incremento dell'attività produttiva, anche se il periodo di utilizzo del lavoratore nella compagine aziendale è stato inferiore rispetto al più ampio periodo nel quale si sono manifestati i picchi di produzione.

La Corte di Cassazione (sent. n. 10726 del 17 aprile 2019) ha affermato che al giudice compete unicamente una verifica sulla effettiva sussistenza delle esigenze aziendali dedotte a presidio del termine del contratto di somministrazione, mentre gli è precluso intervenire con una propria valutazione sulla durata per la quale è stata prevista in contratto l'utilizzazione del lavoratore.
Non esiste un assioma per cui alla durata delle ragioni aziendali invocate per giustificare l'apposizione del termine si debba accompagnare una corrispondente durata del contratto di somministrazione. È ben possibile, ad avviso della Cassazione, che lo spazio temporale della somministrazione a termine sia inferiore rispetto alla più ampia durata dei picchi produttivi che si sono manifestati aziendalmente, senza che ciò possa incidere sulla validità del contratto di lavoro in somministrazione.

Sulla scorta di questo principio, la Cassazione ha riformato la sentenza della Corte d'Appello di Roma, che aveva dichiarato la illegittimità di numerosi contratti di somministrazione a tempo determinato nei quali, benché fosse stata dimostrata l'effettiva ricorrenza delle causali, era stato riscontrato che l'utilizzo del lavoratore era avvenuto per periodi più brevi rispetto ai dedotti “picchi di più intensa attività produttiva”.
In primo e secondo grado, la domanda del lavoratore era stata accolta sul presupposto che la minore durata della somministrazione rispetto a quella delle esigenze produttive dedotte era indice di invalidità dei relativi contratti.

La Corte di Cassazione ha ribaltato questa decisione, evidenziando che il giudice deve limitarsi a sindacare la effettività della causale, mentre non può dedurre la invalidità del contratto di somministrazione a termine perché il periodo di utilizzo del somministrato è stato più breve. Quest'ultima valutazione costituisce una illegittima intromissione del giudice nelle scelte dell'impresa.
La sentenza della Cassazione, che è stata resa con riferimento al vecchio impianto normativo della Legge Biagi, può indubbiamente costituire un utile spunto per circoscrivere l'operatività dei limiti introdotti dal Decreto Di Maio con le nuove causali sui contratti di lavoro temporaneo.

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