Contratti & contrattazione collettivaEditoriale

Dalla manovra di bilancio un aiuto alla contrattazione collettiva?

di Michele Tiraboschi

N. 45

Guida al Lavoro

Un'analisi delle misure sul lavoro della manovra 2026 in termini di impatto strutturale su salari, produttività e occupazione stabile e il ruolo che il sistema di relazioni industriali potrebbe avere per la qualità dell'occupazione e le dinamiche salariali

Una valutazione della manovra di bilancio per il 2026 non può prescindere da un dato di contesto: le risorse sono inevitabilmente limitate. È infatti intenzione del Governo dimostrare alle istituzioni comunitarie che il percorso di rientro dal disavanzo eccessivo, osservato con particolare attenzione da mercati finanziari e agenzie di rating, prosegue senza indugi. È dentro questo quadro che si colloca l'insieme degli interventi sul lavoro, che delineano un quadro articolato ma costruito con stanziamenti selettivi, misure temporanee e platee circoscritte. Ne deriva un impianto che incrocia dinamica retributiva, produttività, incentivi all'occupazione stabile, misure previdenziali e strumenti di conciliazione, ma senza assumere un carattere strutturale.

Un primo profilo riguarda il rapporto tra fiscalità e contrattazione collettiva. L'introduzione di forme di detassazione collegate ai rinnovi contrattuali e ai premi di produttività viene letta positivamente da più parti, sia sul versante datoriale sia su quello sindacale, nella misura in cui alleggerisce il peso del lavoro dipendente e sostiene i processi negoziali. Tuttavia, molte osservazioni convergono su un punto: la natura eccezionale delle misure e la loro dipendenza da condizioni specifiche (decorrenza dei rinnovi, soglie reddituali, criteri di incrementalità) ne riducono la capacità di produrre effetti strutturali sulla dinamica salariale. Il loro impatto economico rimane inoltre contenuto: a seconda delle stime e dei livelli di inquadramento, il beneficio si colloca tra i 150 e i 400 euro annui, buona parte dei quali può essere assorbita dal fiscal drag. La stessa Confindustria ha osservato come la frammentazione delle misure fiscali non sempre si traduce in un reale rafforzamento della leva contrattuale.

Una considerazione analoga emerge nel confronto tra interventi fiscali e produttività. L'alleggerimento sui premi contrattati rappresenta un meccanismo potenzialmente utile, ma la sua effettività dipende dal grado di diffusione della contrattazione aziendale, oggi molto limitato, e dalla capacità delle imprese di indicare gli obiettivi e misurare gli esiti. Su questo terreno si collocano, da un lato, le richieste sindacali di maggiore trasparenza nei parametri adottati e, dall'altro, le valutazioni delle organizzazioni datoriali più vicine al tessuto delle piccole imprese, che evidenziano le difficoltà legate alla frammentazione produttiva.

Sul fronte della occupazione stabile, l'esonero contributivo rappresenta uno degli interventi più rilevanti. Le organizzazioni datoriali, dalla Confapi alle confederazioni artigiane, ne riconoscono il potenziale, specie nelle fasi di ricambio occupazionale, mentre dal versante sindacale si insiste sulla necessità di collegare tali incentivi a percorsi formativi e di crescita professionale – e in questo senso, seppur collegato solo indirettamente, pare positivo il nuovo finanziamento del sistema degli ITS. Anche qui, inoltre, la durata annuale della misura è uno degli elementi che solleva maggiori interrogativi.

Le misure di ambito previdenziale confermano la logica di interventi puntuali: proroga dell'APE sociale, adeguamento dei requisiti anagrafici, modifiche sui fondi pensione, tempi di liquidazione del TFS. Alcune valutazioni istituzionali evidenziano l'assenza di una cornice di riferimento più organica, mentre diverse sigle sindacali richiamano l'opportunità di un disegno unitario che eviti interventi frammentati. Le disposizioni dedicate alla genitorialità e alla conciliazione registrano, complessivamente, un apprezzamento diffuso. Tuttavia, la loro portata quantitativa rimane limitata rispetto all'obiettivo di sostenere i percorsi lavorativi delle donne. La Cgil, in particolare, sottolinea i rischi connessi a un uso estensivo del part-time come strumento di conciliazione, mentre l'estensione dei congedi è riconosciuta trasversalmente come un passo nella giusta direzione.

In un quadro così composito, molte delle osservazioni provenienti dalle parti sociali appaiono fondate: la frammentarietà temporale, la dimensione ridotta delle platee, la difficoltà di collegare in modo stabile gli interventi fiscali alla dinamica della produttività o della qualificazione del lavoro sono elementi reali, che meritano attenzione. Allo stesso tempo, proprio la forza di queste critiche impone di ricordare che la leva fiscale non può essere chiamata a sostituire in modo permanente ciò che spetta al sistema di relazioni industriali garantire. La responsabilità della dinamica salariale, della qualità dell'occupazione e del legame tra retribuzione e produttività non può essere trasferita alla finanza pubblica anche perchè l'effetto rischia di essere l'opposto di quello sperato con uno spreco di risorse pubbliche che potrebbero essere allocate su ambiti più strategici per sostenere la qualità delle relazioni industriali. Pensiamo alla assenza di un banale filtro selettivo che limiti il godimento degli incentivi pubblici alle sole imprese che applicano contratti collettivi sottoscritti da sigle datoriali e sindacali realmente rappresentative. È noto a tutti che nell'archivio dei contratti del CNEL sono oggi depositati più di mille contratti nazionali di lavoro per il solo settore privato, ma nessuno ha mai contato quanti sono i soggetti che stanno dietro questi contratti molti dei quali applicati a numeri irrisori di imprese e lavoratori. Si tratta di un numero impressionante di associazioni datoriali e sindacali prive di qualsivoglia consistenza rappresentativa, parliamo infatti di quasi 500 entità sconosciute ai più e, in particolare, sconosciute a imprese e lavoratori.

Di particolare spicco, da questo punto di vista, è in ogni caso la posizione di Banca d'Italia che rileva come sia improprio assegnare al bilancio pubblico il compito di recuperare il potere d'acquisto perduto dai lavoratori, soprattutto quando la redditività delle imprese può consentire che questo avvenga mediante la contrattazione collettiva. Recenti studi di ADAPT confermano che la crescita di salari reali e produttività vada sostenuta da un sistema di relazioni industriali più efficiente, ragion per cui, tra le misure strutturali auspicate dalle parti sociali, vi dovrebbe essere in primis una riforma complessiva (e non frammentata, come avvenuto a inizio millennio) del sistema di contrattazione collettiva.

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