Contenzioso

Riforma Cartabia, fra il tramonto del rito Fornero e l'alba di un nuovo mondo

In attuazione dei principi e dei criteri direttivi di unificazione e coordinamento della disciplina dei procedimenti di impugnazione dei licenziamenti contenuti nella legge delega, la Riforma Cartabia interviene per superare le ben note difficoltà interpretative e applicative che il rito Fornero, fin dalla sua introduzione, aveva fatto emergere

di Angelo Zambelli e Hana Akaike

Tratto da Modulo 24 Contenzioso Lavoro

Entra a regime il piano di riordino della materia civil-processualistica a conclusione dell'iter di attuazione della legge delega al Governo 26 novembre 2021, n. 206, con la quale all'organo esecutivo era stato affidato il compito di riformare il processo civile e gli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie. Si aggiunge così un nuovo tassello al frastagliato quadro di riforme che ha contraddistinto il sistema processuale italiano. Gli obiettivi prefissati sono gli stessi da anni: l'efficienza del processo civile, la deflazione del contenzioso, la razionalizzazione dei procedimenti. Diverse sono le materie oggetto di riforma, che non trascura di intervenire anche sulla struttura del processo del lavoro. A tale riguardo, tra gli interventi di maggior rilievo di certo non si può non menzionare l'abrogazione del "famigerato" rito Fornero. In attuazione dei principi e dei criteri direttivi di unificazione e coordinamento della disciplina dei procedimenti di impugnazione dei licenziamenti contenuti nella legge delega, la Riforma interviene per superare le ben note difficoltà interpretative e applicative che il rito Fornero, fin dalla sua introduzione, aveva fatto emergere.

Abrogazione del rito Fornero
Il decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 149, invero, introduce un nuovo capo I-bis al libro II, titolo IV, del Codice di procedura civile, rubricato «Delle controversie relative ai licenziamenti», dedicato alle liti riguardanti i licenziamenti nelle quali venga proposta domanda di reintegrazione. Contestualmente, la novella abroga dal 28 febbraio 2023 i commi da 47 a 69 dell'art. 1 della legge 92/2012, introdotti dalla riforma del 2012, che assicuravano una speciale tutela processuale per le cause in materia di licenziamenti. Senonché, già dopo soli tre anni dalla sua entrata in vigore, la portata applicativa di tale procedimento veniva fortemente ridimensionata, atteso che il legislatore del 2015, nel disciplinare il contratto a tutele crescenti, aveva disposto che i licenziamenti dei lavoratori assunti dopo il 7 marzo 2015 non sarebbero stati assoggettati a tale rito speciale, bensì al processo ordinario del lavoro. Ne era quindi scaturita una discrasia normativa che prevedeva due discipline processuali distinte, la cui scelta applicativa era determinata dal solo elemento formale della data di assunzione del lavoratore interessato. E allora non è un caso che con l'ultima riforma di cui si viene ora a dire, il legislatore delegato sia intervenuto per il superamento del sistema cd. a doppio binario e la previsione di un unico rito per le controversie in materia di licenziamenti. Modifica, questa, infatti a dir poco scontata che gli addetti ai lavori già da tempo aspettavano, vieppiù dopo il 2015.
A partire dal 1° marzo 2023, dunque, i procedimenti relativi ai licenziamenti dovranno essere tutti instaurati secondo il rito ordinario del lavoro. Anche se solo il tempo potrà dire se la nuova disciplina processuale sarà in grado di rispondere alle esigenze di celerità, speditezza ed efficienza che la riforma si propone di perseguire, va comunque rilevato che la soluzione adottata dal legislatore è stata quello di porre nuovamente fiducia nei confronti del rito ordinario del lavoro, tuttora perfettamente funzionale e che non mostra alcun segno di cedimento pur avviandosi a celebrare il suo primo cinquantennio.

Il "nuovo" processo ordinario
Andando nel dettaglio, il nuovo art. 441-bis c.p.c. stabilisce che le controversie aventi ad oggetto l'impugnazione dei licenziamenti sono assoggettate alle norme degli artt. 409 ss. c.p.c., con conseguente soppressione del procedimento speciale ex legge 92/2012. In tal modo viene contemplato un rito modellato su previsioni generali unitarie, pur con le peculiarità che governano le domande di reintegrazione nel posto di lavoro. La domanda avente ad oggetto l'impugnativa del licenziamento si deve proporre quindi con ricorso corredato di tutti gli elementi previsti dall'art. 414 c.p.c., con indicazione, pertanto, anche dei mezzi di prova di cui il lavoratore intende avvalersi.
Il merito della riforma è, infatti, quello di ridare effettività ai principi su cui si fonda il giudizio laburistico nel quale prevale la regola secondo cui il tema decisorio sia individuato sin dagli atti introduttivi in modo chiaro ed esaustivo, sia sul piano espositivo sia su quello probatorio. Onere, questo, che incombe tanto sul ricorrente quanto sul resistente. Viene quindi definitivamente abbandonato l'approccio bifasico del procedimento di primo grado in virtù del quale al giudizio di cognizione piena veniva anteposta una fase sommaria epurata del meccanismo delle decadenze e delle preclusioni, finalizzata all'accelerazione dei tempi del processo. La decennale esperienza applicativa del rito Fornero ha infatti dimostrato come non sempre le cause sui licenziamenti si siano esaurite con l'esperimento di questa sola prima fase semplificata, con la conseguenza che anziché prevedere un sistema processuale caratterizzato da atti semplificati o istruttorie sommarie, ci si è ritrovati, paradossalmente, all'introduzione surrettizia di un ulteriore grado di giudizio con finalità cautelari, che di fatto ha comportato un'eccessiva macchinosità processuale con ricadute anche sul piano dell'efficienza e della rapidità dei giudizi. Sicché ampio plauso merita la scelta legislativa di eliminare il frazionamento del giudizio di primo grado e ricondurre tutte le controversie lavoristiche sotto l'egida generale delle disposizioni dettate dagli artt. 409 ss. c.p.c. che già rispondono ai principi di immediatezza, oralità e concentrazione, propri del processo del lavoro.

Il ricorso introduttivo
Quanto alle modalità di instaurazione del giudizio, la domanda avente ad oggetto l'impugnativa di licenziamento viene proposta mediante deposito del ricorso ex art. 414 c.p.c., unitamente ai documenti in esso indicati, presso la cancelleria del tribunale in funzione di giudice del lavoro competente per territorio ai sensi dell'art. 413 c.p.c. A riguardo è opportuno precisare che la Riforma in commento ha reso strutturale l'obbligatorietà del deposito telematico degli atti processuali e dei documenti, ivi compresi quelli relativi all'atto introduttivo e all'atto costitutivo. Il nuovo Titolo V-ter rubricato «Disposizioni relative alla giustizia digitale» delle disposizioni di attuazione del Codice di procedura civile ha infatti esteso il principio del deposito telematico a tutti gli atti processuali, compresi quelli introduttivi, sulla scorta di quanto previsto dalla normativa emergenziale (segnatamente dal decreto-legge 8 marzo 2020, n. 11, art. 2 comma 6, con conseguente abrogazione dell'art. 16-bis del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito con modificazioni dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221). Le norme sul deposito in forma telematica, in realtà, non fanno altro che recepire una pratica già diffusa. Vero è che, al di là di rari casi di "ritorno al cartaceo", sono ormai anni che i procedimenti vengono instaurati secondo le modalità del processo telematico.

L'udienza di discussione
Una volta depositato il ricorso, entro cinque giorni il giudice fissa con decreto l'udienza di discussione, alla quale le parti sono tenute a comparire personalmente. Quanto ai termini processuali, di norma, troverà applicazione la disciplina contenuta nell'art. 415 c.p.c. che prescrive la fissazione della prima udienza in un termine non superiore a sessanta giorni dal deposito del ricorso (termine che, nella pratica, non sempre viene applicato, atteso il suo carattere ordinatorio). A cura dell'attore, il ricorso e il decreto di fissazione udienza devono essere notificati al convenuto, fermo restando che tra la data di notificazione e quella dell'udienza di discussione deve intercorrere un termine minimo di almeno trenta giorni.
Sul punto, il legislatore delegato, allo scopo di garantire un iter più spedito per le questioni che vertono sulla reintegrazione, ne ha sancito il carattere prioritario rispetto alle altre cause attraverso una serie di termini acceleratori. Tenuto conto delle ragioni di urgenza prospettate nel ricorso, al giudice viene infatti attribuito il potere di anticipare la data di prima udienza sino a trenta giorni dalla data di deposito del ricorso. In tal caso, dovrà comunque essere rispettato un termine minimo tra la data di notificazione del ricorso e quella dell'udienza ex art. 420 c.p.c. non inferiore a venti giorni, con riduzione del termine per la costituzione a cinque giorni prima della comparizione. La norma non prescrive che l'abbreviazione del rito sia subordinata alla domanda del ricorrente, né che si tratti di un diritto disponibile a questi accordato. La decisione rispetto all'abbreviazione dei tempi del processo spetta al giudice il quale, tenuto conto delle circostanze indicate nel ricorso, potrà disporre d'ufficio se abbreviare i tempi del processo oppure no. A prescindere dalla configurazione di un canale telematico dedicato, un accorgimento utile per il difensore del lavoratore potrà essere quello di esplicitare in epigrafe che si tratti di un ricorso ex art. 441-bis c.p.c., in modo da mettere sin da subito in evidenza il carattere "urgente" della vertenza. Per quanto concerne le controversie assoggettabili alla nuova disciplina si ritiene che rientrino nel suo ambito di applicazione le sole domande di impugnazione del licenziamento con domanda di reintegrazione, mentre sembrano doversi escludere le domande di impugnazione del licenziamento con richiesta di una mera tutela indennitaria ovvero le eventuali (e rare) azioni datoriali dirette all'accertamento della legittimità del recesso.

La notificazione
Per quel che concerne le notificazioni, inoltre, le novità in materia contemplano un "naturale" adeguamento alle attuali tecniche di trasmissione dati divenute di prassi comune. Avvocati e ufficiali giudiziari sono ora obbligati a eseguire tutte le notificazioni in via telematica nei confronti dei soggetti per i quali la legge prevede l'obbligo di munirsi di un indirizzo di posta elettronica certificata risultante dai pubblici elenchi, nonché di chi ha eletto domicilio digitale ai sensi dell'art. 3-bis, comma 1-bis, del codice dell'amministrazione digitale (D.lgs. 7 marzo 2005, n. 82). Per le controversie relative alle impugnazioni dei licenziamenti, la notifica cartacea sarà quindi confinata a ipotesi davvero residuali, considerando che per quasi tutti i datori di lavoro vige l'obbligo di dotarsi di un indirizzo di posta elettronica certificata. Maggior attenzione, pertanto, dovrà essere riposta al controllo della propria PEC, atteso che – soprattutto nelle realtà meno strutturate – non sono infrequenti i casi in cui sia sfuggita la notifica elettronica di un ricorso e la società datrice sia rimasta ignara della pendenza del giudizio nei propri confronti.

La costituzione in giudizio
Appreso del procedimento, il convenuto deve costituirsi almeno dieci giorni prima dell'udienza (cinque se il giudice ha disposto l'abbreviazione del procedimento) mediante deposito telematico di una memoria difensiva nella quale devono essere proposte, a pena di decadenza, le eventuali domande riconvenzionali e le eccezioni processuali e di merito non rilevabili d'ufficio. Incombe sul convenuto l'onere di prendere posizione, in maniera specifica, sui fatti dedotti da parte ricorrente, proponendo tutte le difese in fatto e in diritto, con indicazione dei mezzi di prova. Se il rito Fornero ammetteva la possibilità di costituirsi tardivamente, anche all'udienza di comparizione, senza che operasse il rigido meccanismo delle decadenze e delle preclusioni, lo stesso non può dirsi per il procedimento riformato. Le analogie in ordine all'abbreviazione dei termini processuali risultano infatti essere meramente apparenti, atteso che, laddove il giudice disponga per il rito accelerato, la norma non ammette deroghe alle conseguenze decadenziali che accompagnano gli atti introduttivi del procedimento del lavoro.
Altro aspetto di rilievo riguarda la proposizione di una domanda riconvenzionale. Dal nuovo testo codicistico, invero, non si evince se una volta disposto per il rito accelerato il giudice debba continuare ad applicare l'abbreviazione dei tempi del procedimento anche nei confronti dell'attore, convenuto in via riconvenzionale, oppure se tale prerogativa sia riservata esclusivamente alla parte che dia impulso al procedimento domandando la reintegrazione nel posto di lavoro: coerenza vorrebbe una risposta positiva, ma si vedrà nella concreta applicazione dei tribunali.

La trattazione
Con riguardo all'oggetto delle domande assoggettabili alla nuova disciplina, inoltre, la norma prevede la sua applicazione anche alle controversie in cui devono essere «risolte questioni relative alla qualificazione del rapporto». La locuzione in esame riprende quanto era previsto dall'art. 1, comma 47, legge n. 92 del 2012, stabilendo che il necessario accertamento preventivo della qualificazione del rapporto cui sia applicabile la tutela ripristinatoria non preclude al giudice la facoltà di abbreviare i termini del procedimento. Sempre in una prospettiva acceleratoria, la norma prevede che il giudice dispone la trattazione congiunta di eventuali domande connesse e riconvenzionali ovvero la loro separazione, laddove sussistano esigenze di celerità che possono essere prospettate anche dalle stesse parti. Si prevede inoltre che i giudici debbano riservare particolari giorni, anche ravvicinati, nel calendario delle udienze per consentire la concentrazione della fase istruttoria e di quella decisoria per le domande di reintegrazione nel posto di lavoro. Nell'impalcatura del rito riformato, al dichiarato scopo di evitare un'eccessiva proliferazione dei giudizi, da un lato, e di mantenere impregiudicata la speditezza che contraddistingue la domanda di reintegrazione nel posto di lavoro, dall'altro, la soluzione da preferire sembrerebbe essere comunque quella di instaurare un unico procedimento per la trattazione unitaria delle domande inerenti al medesimo rapporto di lavoro. Ciò anche al fine di assicurare una definizione spedita e "tombale" delle controversie sorte tra le medesime parti. La soluzione adottata dal legislatore è quindi in parte innovativa rispetto alle questioni di improcedibilità o di inammissibilità che molto avevano fatto discutere in relazione al procedimento Fornero. Il suo approccio pragmatico, infatti, consiste nel lasciare al giudice le opportune valutazioni utili a verificare se le richieste del ricorrente siano o meno strumentali alla domanda di reintegrazione, così da stabilire in concreto la soluzione organizzativa che meglio risponde alle esigenze di celerità e di buona gestione del processo.

Due innovazioni processuali di carattere generale: l'udienza con collegamento a distanza e deposito di note scritte a sostituzione dell'udienza
Brevissimi cenni meritano infine le novità dedicate alla possibilità di svolgere l'udienza mediante collegamento audiovisivo a distanza e la possibilità di sostituire l'udienza mediante deposito di note scritte. Nel Libro I, Titolo IV rubricato "Degli atti processuali" sono stati infatti inseriti gli artt. 127-bis e 127-ter c.p.c. che hanno reso strutturale la possibilità di svolgere l'udienza attraverso forme alternative alla consueta partecipazione in presenza. L'art. 127-bis c.p.c. prevede infatti che il magistrato può optare per l'udienza da remoto mediante collegamenti audiovisivi, qualora non debbano intervenire soggetti diversi dai difensori, dalle parti, dal pubblico ministero e dagli ausiliari del giudice. Tale previsione di carattere generale, calata nel rito del lavoro, comporta che l'unica udienza per cui sia precluso lo svolgimento in videoconferenza sia quella in cui è prevista l'escussione dei testimoni. Quanto all'udienza di trattazione scritta, l'art. 127-ter c.p.c. ammette generalmente la possibilità di sostituire l'udienza in presenza mediante lo scambio di note scritte contenente le sole istanze e le conclusioni. La norma prescrive inoltre tale modalità qualora «ne fanno richiesta tutte le parti costituite». A tale ultimo proposito, è infatti da segnalare che il dato testuale della norma sembra suggerire che, in presenza di un'istanza congiunta, il giudice sia tenuto a disporre la trattazione scritta, escludendone il carattere discrezionale. In relazione a questi aspetti, va comunque rilevato che il ricorso alle innovazioni non solo tecnologiche nel rito del lavoro deve pur sempre tener conto delle peculiarità che lo contraddistinguono rispetto al processo di cognizione ordinario. Trattandosi di un procedimento che inizia con un tentativo obbligatorio di conciliazione e si fonda sulla oralità della trattazione, si ritiene che, quantomeno per le materie lavoristiche, la comparizione innanzi al giudice con tutte le sfumature che solo un'udienza in presenza può riservare sia scelta ancora preferibile rispetto a modalità più tecnologiche ma, forse, talvolta meno efficaci.

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