Rapporti di lavoro

Jobs act, indennità di conciliazione meno conveniente per il licenziato

di Angelo Zambelli

Dopo la sentenza della Corte costituzionale che ha dichiarato l’illegittimità del calcolo “automatico” dell’indennità di licenziamento, perde efficacia dissuasiva la procedura di conciliazione prevista dal Jobs act per le aziende con più di 15 dipendenti. Resta invece appetibile nelle imprese più piccole.

Il decreto legislativo 23/2015 ha previsto un’esenzione fiscale e contributiva integrale per l’indennità risarcitoria corrisposta – a mezzo assegno circolare e presso le “sedi protette” - nell’ambito della conciliazione con il dipendente (assunto dal 7 marzo 2015) a fronte della rinuncia da parte di quest’ultimo all’impugnazione del licenziamento.

L’indennità deve essere calcolata secondo l’automatismo indicato nell’articolo 6 del Dlgs (e nel 9 per le aziende che hanno fino a 15 addetti): una mensilità per ogni anno di anzianità di servizio, con un minimo di 3 e un massimo di 27 mensilità per le imprese con più di quindici dipendenti, e mezza mensilità per ogni anno di servizio con un minimo di 1,5 e un massimo di 6 per le imprese di dimensioni inferiori.

Nonostante la decisione della Consulta abbia lasciato inalterati tali importi, è lecito ritenere che la pronuncia di incostituzionalità avrà l’immediato effetto di eliminare qualsiasi appeal all’offerta di conciliazione per quanto concerne i dipendenti delle grandi imprese. Si consideri, infatti, che nel quadro normativo venutosi a creare, ora il giudice, in caso di licenziamento ritenuto illegittimo perché senza giusta causa o giustificato motivo, sarà chiamato a quantificare l’indennità risarcitoria all’interno di un range oscillante tra 6 e 36 mensilità.

È quindi evidente che, ad esempio, un dipendente con un’anzianità di servizio di 3 anni (tanti sono passati dall’entrata in vigore delle tutele crescenti) che si veda offrire un importo pari a 3 mensilità, sia pure esenti da carichi contributivi e fiscali, difficilmente accetterà tale offerta conciliativa rinunciando a un giudizio che, in caso di accertamento dell’illegittimità del licenziamento, potrà garantirgli un’indennità risarcitoria da 2 fino a 12 volte superiore.

Situazione opposta per quanto riguarda invece le piccole imprese, ossia le aziende che non raggiungono i requisiti dimensionali previsti dall’articolo 18 dello statuto dei lavoratori: qui l’offerta di conciliazione conserva intatta la sua capacità dissuasiva.

Infatti la decisione della Consulta, pur facendo venir meno anche in questo caso il meccanismo di quantificazione automatica dell’indennità risarcitoria in caso di soccombenza del datore di lavoro, mantiene inalterata la finalità deflattiva dell’offerta di conciliazione rispetto a un possibile contenzioso, atteso il ristretto ambito di liquidazione a disposizione del giudice che i rispettivi tetti minimo e massimo(da 3 a 6 mensilità) in ogni caso impongono.

La procedura

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