Rapporti di lavoro

Strumento detassato utile per aumentare la produttività

di Stefano Sirocchi

I buoni pasto sono cumulabili fino a otto e utilizzabili anche in agriturismi, ittiturismi e spacci aziendali. I vantaggi sono principalmente di natura fiscale e contributiva perché non sono tassati fino alla soglia di 5,29 euro al giorno se cartacei, oppure 7 euro se elettronici. Ma non solo: la loro introduzione può contribuire all’aumento della produttività. Vediamo come.

Innanzi tutto, l’esenzione è consentita nei limiti di un ticket per ogni giorno lavorato, quindi l’agevolazione non spetta quando il dipendente è in malattia o in ferie. Di conseguenza i buoni pasto diventano anche una sorta di premio presenza.

Inoltre possono essere inclusi nel paniere di beni e servizi selezionabili dal dipendente in sostituzione dei premi di risultato, a patto che l’accordo di secondo livello lo preveda. La combinazione delle due discipline (premi e buoni) è consentita dall’articolo 1, comma 184, della legge di Stabilità 2016. Nonostante i buoni siano già detassati, ricomprenderli tra i premi ne subordina la corresponsione all’ottenimento di specifici risultati aziendali, in termini di incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienza o innovazione, a seconda dei parametri selezionati.

Naturalmente è necessario rispettare i requisiti di legge: soggettivi (i redditi di lavoro dipendente non devono superare gli 80.000 euro nell’anno precedente a quello di percepimento del premio) e oggettivi, come il raggiungimento degli obiettivi. Anche per i buoni pasto si devono osservare le rispettive regole: oltre al decreto 122/2017, i chiarimenti contenuti nelle circolari 28/2016 e 326/1997 e risoluzioni 41/2000 e 63/2005.

In particolare, i buoni pasto devono essere offerti alla generalità o categorie omogenee di dipendenti, al posto del servizio di mensa. Inoltre, è da escludersi che un lavroatore possa avere diritto, nella stessa giornata lavorativa, alla mensa e al buono: una delle due sarebbe fiscalmente imponibile. In sintesi, la sostituzione dei premi in buoni pasto è agevolabile nel rispetto di entrambi le normative e nessun beneficio spetta al soggetto che converte il premio in buoni pasto se già fruisce del servizio di mensa aziendale, o dell’indennità monetaria prevista dalla lettera c, comma 2, articolo 51 del testo unico delle imposte sui redditi, o dei buoni stessi.

Viceversa, il datore di lavoro che non avesse istituito, per almeno una categoria di lavoratori, una mensa aziendale, o un servizio sostitutivo, potrebbe includere i ticket nel paniere dei benefit a favore dei dipendenti esclusi, eventualmente differenziando il premio.

Si potrebbe offrire un valore maggiore a coloro che scelgono il welfare in luogo dei contanti, ad esempio 1.000 euro in buoni pasto, anziché 800 in denaro, lordi e soggetti all’imposta sostitutiva del 10 per cento. In questo modo, se il dipendente sceglie i ticket, l’azienda risparmia legittimamente gli oneri contributivi e il lavoratore porta a casa un valore maggiore.

In alternativa, l’accordo di secondo livello potrebbe prevedere soltanto benefit e buoni pasto, senza possibilità di conversione monetaria. In tal caso la non imponibilità dei relativi valori è consentita solo se l’erogazione in natura non si concretizza in un aggiramento dei «principi di capacità contributiva e di progressività» della tassazione (circolare 28/E del 2016, paragrafo 3.1). La definizione utilizzata, tuttavia, è di carattere generale e potrebbe lasciare spazio a differenti interpretazioni nelle fattispecie concrete.

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