Rapporti di lavoro

Entra in vigore la riforma del lavoro carcerario

di Armando Montemarano

Le tre caratteristiche del lavoro carcerario, quale configurato nella legge 354/1975, erano l'obbligatorietà (il detenuto non vi si poteva sottrarre), l'onerosità (era retribuito) e la funzione rieducativa (non aveva natura punitiva, non costituendo un elemento della pena).

Le direttrici della riforma
Il lavoro carcerario può essere svolto sia all'interno dell'istituto penitenziario, alle dipendenze dell'amministrazione oppure di terzi, sia all'esterno. Di fatto, secondo i dati forniti dal Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria (Dap), solo poco più di un detenuto su quattro lavora e la maggior parte con adibizione a «lavori domestici» alle dirette dipendenze della stessa amministrazione, vale a dire alle attività necessarie al funzionamento della comunità che abita nell'istituto (addetti alla cucina, distributori del vitto, addetti alla lavanderia, addetti alla cura di persone non autosufficienti, pulitori, scrivani e così via).
Su questa struttura interviene ora la riforma attuata con la pubblicazione, il 26 ottobre scorso, del Dlgs 2 ottobre 2018, numero 124, che si muove lungo due direttrici:
a) onere - e non obbligo - per l'amministrazione di favorire la destinazione dei detenuti e degli internati al lavoro (è stato soppresso il secondo comma dell'articolo 20 della legge 354/1975 che statuiva «il lavoro è obbligatorio per i condannati e per i sottoposti alle misure di sicurezza della colonia agricola e della casa di lavoro»);
b) limitazione del lavoro esterno (non vi possono essere assegnati i detenuti e gli internati per il delitto di associazione di tipo mafioso di cui all'articolo 416-bis del codice penale e per i delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dallo stesso articolo ovvero al fine di agevolare l'attività di siffatte associazioni).
Il decreto delegato ridimensiona le aspettative indotte dalla legge delega (legge 103/2017), la quale era indirizzata a incrementare le opportunità di lavoro retribuito e, soprattutto, a promuovere la partecipazione dei detenuti ad attività esterne di volontariato, partecipazione che avrebbe potuto essere collegata a sconti di pena, ora non previsti. La commissione giustizia della Camera, d'altronde, nella seduta del 1° agosto 2018 aveva condizionato il parere favorevole allo schema di decreto:
a) all'introduzione di specifiche misure di controllo e trasparenza nelle procedure di selezione dei soggetti con i quali stipulare le convenzioni di lavoro esterno;
b) alla previsione di controlli e requisiti stringenti con riferimento ai singoli membri preposti dai soggetti convenzionati a interloquire con i detenuti;
c) alla condizione che potessero essere adibiti a lavoro esterno volontario solo coloro che avessero espiato una parte consistente della pena.

L'avvio al lavoro carcerario
Il testo riformato dell’articolo 20 consente l'organizzazione e la gestione, all'interno e all'esterno dell'istituto penitenziario, di lavorazioni e servizi attraverso l'impiego di prestazioni lavorative dei detenuti e degli internati. Possono, altresì, essere istituite lavorazioni organizzate e gestite direttamente da enti pubblici o privati, nonché corsi di formazione professionale organizzati e svolti da enti pubblici o privati. Si conferma che l'organizzazione e i metodi del lavoro penitenziario devono riflettere quelli del lavoro nella società libera, al fine di far acquisire ai soggetti una preparazione professionale adeguata alle normali condizioni lavorative per agevolarne il reinserimento sociale.
Chi, come e quando destinare al lavoro carcerario sarà deciso da un'apposita commissione, composta da figure interne all'istituto penitenziario e dal direttore del centro per l'impiego o da un suo delegato, da un rappresentante sindacale unitariamente designato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale e da un rappresentante unitariamente designato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello territoriale. La commissione formerà due elenchi, uno generico e l'altro per qualifica, per l'assegnazione al lavoro dei detenuti, tenendo conto esclusivamente dell'anzianità di disoccupazione maturata durante lo stato di detenzione e di internamento, dei carichi familiari e delle abilità lavorative possedute, e privilegiando, a parità di condizioni, i condannati, con esclusione dei detenuti e degli internati assoggettati al regime di sorveglianza particolare cui sono sottoposti per un determinato periodo coloro che, con i loro comportamenti, compromettono la sicurezza ovvero turbano l'ordine nell'istituto ovvero che con la violenza o minaccia impediscono le attività degli altri detenuti che nella vita penitenziaria si avvalgono dello stato di soggezione degli altri detenuti nei loro confronti.

Il lavoro di pubblica utilità
La riforma aggiunge un intero articolo, il 20-ter, alla legge 354 per consentire ai detenuti di chiedere di essere ammessi a prestare la propria attività, a titolo volontario e gratuito, nell'ambito di progetti di pubblica utilità. La partecipazione a questi progetti può consistere in attività da svolgersi a favore di amministrazioni dello Stato, Regioni, enti locali, Asl, enti od organizzazioni, anche internazionali, di assistenza sociale, sanitaria e di volontariato, sulla base di apposite convenzioni. Le attività relative ai progetti potranno svolgersi anche all'interno degli istituti penitenziari ma non potranno avere a oggetto la gestione o l'esecuzione dei servizi d'istituto.
I detenuti e gli internati potranno essere assegnati al lavoro di pubblica utilità svolto all'esterno in condizioni idonee a garantire l'attuazione positiva degli scopi del trattamento penitenziario, che dev'essere svolto avvalendosi principalmente, oltreché del lavoro, dell'istruzione, della religione, delle attività culturali, ricreative e sportive e agevolando opportuni contatti con il mondo esterno e i rapporti con la famiglia.
L'assegnazione al lavoro di pubblica utilità svolto all'esterno dovrà tenere conto prioritariamente delle esigenze di prevenire il pericolo di commissione di altri reati, della natura del reato commesso, della condotta tenuta, nonché del significativo rapporto tra la pena espiata e la pena residua, quando si tratti di detenuti e internati per uno dei seguenti delitti: reati commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza, delitti di stampo mafioso, dei più gravi delitti contro la personalità individuale, contro le immigrazioni clandestine e in materia di disciplina degli stupefacenti.

Le convenzioni di inserimento lavorativo
L'individuazione degli utilizzatori del lavoro carcerario è devoluta agli organi centrali e territoriali dell'amministrazione penitenziaria, che dovranno stipulare apposite convenzioni di inserimento lavorativo con soggetti pubblici o privati o cooperative sociali.
Le proposte di convenzione saranno pubblicate a cura del Dap sul proprio sito istituzionale, in modo che i soggetti privati disponibili ad accettarle possano trasmettere allo stesso Dap i relativi progetti di intervento, unitamente al curriculum dell'ente. I progetti e i curricula dovranno essere, a loro volta, pubblicati sul sito del Dap e della convenzione stipulata dovrà essere data adeguata pubblicità nelle stesse forme.
Agli operatori privati potranno essere assegnati dall'amministrazione assistenti volontari, vale a dire persone idonee all'assistenza e all'educazione allo scopo di partecipare all'opera rivolta al sostegno morale dei detenuti e al loro futuro reinserimento nella vita sociale.
Il lavoro carcerario perde il carattere di obbligatorietà, che aveva - certamente con tratti e finalità profondamente differenti, quale parte integrante della pena - fin dal primo regolamento penitenziario del 1862. Non può costituire un obbligo, ma resta da incentivare nell'ottica della risocializzazione.

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