Rapporti di lavoro

L’effetto Brexit fa bene agli studi

di Chiara Bussi

Il momento della verità sulla Brexit si avvicina. Tra mercoledì e giovedì di questa settimana i ventisette leader dell’Unione e la premier May tireranno le somme. Dovranno capire se è possibile arrivare a un divorzio consensuale o se la rottura sarà traumatica già a partire dal 29 marzo 2019. In attesa di nuovi sviluppi, per gli studi italiani (legali e tributari) presenti a Londra - che assistono persone fisiche e imprese - la Brexit si già rivelando una fonte di business. Contrariamente ai colossi della finanza e alle multinazionali, «finora - come fa notare il direttore di Legalcommunity Nicola Di Molfetta - nessuno ha messo in discussione il fatto di restare. L’addio della Gran Bretagna alla Ue può infatti rappresentare un’opportunità per gli studi che dovranno contribuire a gestirne gli effetti per i loro clienti». Ne sanno qualcosa Alessandro e Luigi Belluzzo, titolari dello studio internazionale Belluzzo International Partners che opera Oltremanica da più di 10 anni con un team di 30 persone. «Il referendum del giugno 2016 - dicono - ha generato certamente una serie di complessità, sia per le persone fisiche che per le società, e ha richiesto l’assistenza di professionisti qualificati e con competenze transfrontaliere. Il fatturato del nostro studio, di lingua italiana a servizio della comunità internazionale, è di conseguenza cresciuto del 30% in poco più di due anni». Un valido motivo «non solo per restare, ma per accrescere l’attività di supporto per i nostri clienti: alle imprese o ai cittadini già presenti sul suolo britannico consigliamo di rafforzare sin da subito la propria presenza».

Uno degli ultimi arrivati è Loconte and Partners che ha aperto la sede londinese nel luglio 2016, appena dieci giorni dopo il voto britannico. «La decisione - sottolinea il fondatore Stefano Loconte - era stata pianificata da mesi tenendo conto di diverse variabili. In un contesto di incertezza l’esigenza di chiarimenti di natura fiscale e legale ha fatto esplodere la nostra attività e abbiamo superato le più rosee previsioni, con un aumento dell’attività del 120% rispetto al 40% atteso».

Chi invece nella sede di Londra conta tra i propri clienti soprattutto banche e fondi di investimento che puntano a operazioni in Italia intravede un impatto diverso a seconda degli scenari. Come BonelliErede, che dal 2001 è presente a Londra con una ventina di legali. «Al momento - dice Massimiliano Danusso managing partner della sede di Londra - la Brexit non ci preoccupa e, proprio per le caratteristiche della nostra attività, ha avuto un impatto neutro». La variabile determinante sarà il tipo di accordo che verrà siglato e le conseguenze sul diritto finanziario: una soft Brexit potrebbe rappresentare un’opportunità significativa anche per noi. In caso invece di un divorzio senza accordo i nostri clienti potrebbero decidere di trasferirsi altrove ed è chiaro che in quel caso dovremo valutare le prossime mosse». Gli fa eco Nicola Brunetti, uno dei soci fondatori dello studio Gattai Minoli Agostinelli. «A Londra spiega - abbiamo una sede “leggera”, utilizzata come base operativa dai professionisti di Milano e di Roma per assistere i clienti inglesi che intendono investire nel nostro Paese. È chiaro che tutti hanno un piano B, ma in una situazione di incertezza il fatto di avere una struttura agile rappresenta un vantaggio».

Al di là della Brexit resteranno comunque alcuni punti fermi che continueranno a rendere attrattivo il Paese, soprattutto per le imprese. Come la tassazione favorevole, oggi al 19%, ma che dovrebbe scendere al 18% nel 2020. Non solo. La Gran Bretagna, conclude Davide Ruini, avvocato e commercialista, titolare dello studio Ruini and Partners e partner fondatore della legal firm di diritto inglese FidLaw, «è destinata ad affermarsi ancora di più come habitat favorevole grazie alle sue regole flessibili per chi fa business. Con un impatto positivo sulla nostra attività».

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©