Una lettura integrata della sicurezza come equilibrio dinamico che abbraccia tutela della persona e sostenibilità dell'impresa, benessere e produttività, inclusione e libertà economica e che coinvolge, necessariamente, tutti gli attori del diritto del lavoro, e tutte le parti delle relazioni di lavoro, individuali e collettive
La parola "sicurezza", tradizionalmente, è stata associata, nel diritto del lavoro, soprattutto alla prevenzione degli infortuni e alle misure tecniche di protezione. Oggi, tuttavia, quella cornice appare insufficiente, o perlomeno non del tutto esaustiva. Le radicali trasformazioni dei processi produttivi, i fenomeni di smaterializzazione e frammentazione dell'impresa, e, da ultimo, la rivoluzione digitale e l'avvento della on-demand economy, uniti ad una nuova sensibilità giuridica, inducono necessariamente a ripensare la nozione di "sicurezza" quale ambito di convivenza di salute fisica e psichica, di benessere organizzativo, di inclusione sociale e di sostenibilità imprenditoriale e ambientale[1].
Il Workshop n. 3 del Convegno AGI 2025, dedicato al tema "Sicurezza, persona e organizzazione: dagli accomodamenti ragionevoli alle nuove dimensioni spazio-temporali del lavoro", si colloca esattamente in questo spazio di espansione concettuale, e mette insieme un tavolo di illustri operatori del diritto, provenienti dall'accademia, dalla giurisdizione, dall'avvocatura e dal mondo sindacale, facendoli interrogare e dialogare su come l'organizzazione del lavoro nel suo complesso – con i suoi tempi, luoghi, regole, gerarchie – possa costituire fattore determinante di salute o di vecchie e nuove vulnerabilità.
In questa prospettiva, l'art. 2087 c.c. si conferma la norma di chiusura del sistema, capace di assorbire i bisogni emergenti di tutela, con tuttavia la necessità, per l'interprete, di trovare di volta in volta il giusto punto di equilibrio fra i valori in gioco, evitando il rischio di caricare la norma di attese sproporzionate, di dare accesso a mere aspirazioni, di tradurre la disposizione in una fonte di responsabilità oggettiva.
La tutela della personalità morale
Non si potrà non affrontare, fra i vari passaggi ermeneutici, la parte della norma relativa alla tutela della "personalità morale", poco valorizzata in origine, criticata dai primi commentatori per la sua ritenuta sfuggevolezza e per il rischio di derive paternalistiche[2], e successivamente protagonista di una sorprendente valorizzazione, all'epoca dell'ascesa del fenomeno del mobbing e del fermento dottrinale e giurisprudenziale sviluppatosi attorno ad esso, all'incirca alla fine degli anni '90 del secolo scorso[3].
Come osservato da Riccardo Del Punta nella indimenticabile relazione Aidlass del 2006 su "Il danno alla persona del lavoratore"[4], «mai rivincita è stata più clamorosa. O, piuttosto, raramente come in questa occasione si è confermato quanto l'interpretazione normativa non possa disgiungersi, come ha insegnato Hans George Gadamer, dalla mediazione fra la storia di un testo e la sua attualizzazione nel presente: siamo stati in grado di elaborare una nuova lettura dell'art. 2087 c.c. proprio perché conoscevamo (anche se per mera intuizione) quella originaria, e abbiamo potuto misurare la distanza interpretativa che ci separa, come uomini della nostra epoca, da essa. Il testo, d'altra parte, si è rivelato dotato di una disponibilità pressoché illimitata a recepire valori culturali nuovi, ispirati non ad etiche contenutistiche fuori dal tempo, ma semplicemente ad un'etica umanistica di riconoscimento e rispetto, sempre più pieni, del valore dell'altro».
L'elaborazione giurisprudenziale degli ultimi vent'anni racconta bene questo passaggio. Dalla centralità delle riflessioni sul mobbing, e poi sullo straining[5] si sono sviluppati ulteriori ambiti di studio come, a titolo esemplificativo, quello relativo alla "costrittività organizzativa" (rafforzato anche dal d.lgs. n. 81/2008 e dalla valutazione obbligatoria dei rischi da stress lavoro-correlato), che invita a spostare l'attenzione dalla condotta intenzionale del singolo alle disfunzioni dell'organizzazione, nonchè ad affrontare le implicazioni giuridiche di situazioni caratterizzate da ambienti strutturalmente stressogeni[6].
Un'evoluzione, questa, non priva di insidie, che vede anche qui la possibile tensione fra l'istanza di protezione della persona che lavora – anche della sua dimensione psichica – e la domanda di certezza del diritto dal parte dell'impresa, tra tutela della dignità e libertà di iniziativa economica, tra benessere e produttività.
Nella consapevolezza, tuttavia, che il benessere di chi lavora può (e, anzi, dovrebbe) essere considerato uno dei veicoli di produttività, e che dunque è fondamentale individuare gli strumenti affinchè questa sinergia si concretizzi.
Gli accomodamenti ragionevoli
Un terreno emblematico di questo bilanciamento è quello degli "accomodamenti ragionevoli"[7], originati come parte dell'apparato tecnico di protezione antidiscriminatoria del diritto dell'Unione, relativa al fattore disabilità (dir. 2000/78/CE), e che sempre più insistentemente rappresentano il segno di un diritto del lavoro che non si limita a regole astratte, ma esige soluzioni individualizzate.
Così, su questo terreno, un importante banco di prova è stato (ed è tuttora) quello della disciplina del comporto per malattia, quando la malattia è connessa con la disabilità[8], tema, peraltro, oggetto, della recentissima sentenza CGE Pauni[9].
Un ambito per nulla teorico, ma di vera e propria vita concreta, che trova nella contrattazione collettiva un attore determinante della disciplina, per cui sarà particolarmente interessante osservare la prospettiva delle parti sociali e l'analisi delle soluzioni offerte dall'autonomia collettiva nel declinare l'istituto del comporto in ipotesi speciali[10].
Così come non meno rilevante è il terreno di analisi che tenteremo di sviluppare sul tema delle patologie croniche, che impone anch'esso un ripensamento della sicurezza in termini di gestione della continuità occupazionale, in situazioni di fragilità duratura e che rende gli accomodamenti ragionevoli – ove ve ne siano i presupposti – strumenti quotidiani di equilibrio, più che azioni di intervento straordinario.
Vi sono, poi, le nuove dimensioni spazio-temporali del lavoro, che richiedono di portare l'obbligo di sicurezza al di fuori dei luoghi e dei tempi ordinari. È una sfida che non può essere affrontata solo con strumenti normativi, ma che necessita, anche in questo caso, del contributo delle parti sociali e delle organizzazioni sindacali, chiamate a ripensare le tutele collettive, in un mondo in cui i confini del lavoro sono mobili e incerti. Qui la sicurezza diventa garanzia di equilibrio, prevenzione dall'isolamento, presidio di benessere anche fuori dai consueti perimetri fisici dell'azienda.
Questi temi, ciascuno dei quali di per sè sarebbe meritevole di approfondimenti, per così dire "monografici", offrono poi spunti interessantissimi nelle ipotesi di possibile intersezione fra di loro, aprendo prospettive del tutto inedite: si può qui solo citare, tanto per fare un esempio, l'utilizzo dell'assegnazione al lavoro agile come accomodamento ragionevole per la persona con disabilità[11].
È un passaggio paradigmatico, che vede le trasformazioni tecnologiche e la remotizzazione non più soltanto come fonte di ipotetici rischi per la sicurezza (isolamento, dilatazione dei tempi, perdita di confini), ma come possibili occasioni per contibuire a costruire una più ricca nozione di "sicurezza", in grado di coniugare il valore dell'inclusione e quello della produttività.
L'elaborazione sostanziale non potrà prescindere dall'analisi delle tecniche processuali e dagli apparati rimediali messi a disposizione dall'ordinamento, dalle regole sul riparto probatorio, dall'analisi dei confini del potere del giudice nell'individuare l'accomodamento possibile nel caso concreto, tutti aspetti su cui l'attuale sensibilità giuridica deve molto al diritto antidiscriminatorio di ultima generazione.
Il Workshop n. 3 aspira, in altri termini, ad offrire una lettura integrata della sicurezza come equilibrio dinamico. Un concetto che abbraccia tutela della persona e sostenibilità dell'impresa, benessere e produttività, inclusione e libertà economica, che coinvolge necessariamente tutti gli attori del diritto del lavoro, e tutte le parti delle relazioni di lavoro, individuali e collettive, perché tocca il cuore stesso del diritto del lavoro contemporaneo, e perchè è su di esso che possiamo provare a misurare la capacità di costruire un terreno comune di ricerca di soluzioni ragionevoli, non più segnato solo dal conflitto.
Convegno nazionale AGI 2025 - Benvenuti a Cagliari 2025
di Giuliana Murino - Presidente AGI Sardegna