Contenzioso

Licenziamenti collettivi con onere di informazione e consultazione

di Angelo Zambelli

Il 6 febbraio 2015 è stata depositata la sentenza n. 2271 della Corte Suprema in tema di procedure di licenziamento collettivo ai sensi della legge 223/1991.
La vicenda esaminata prende le mosse dalle doglianze di due dipendenti che, licenziati nell'ambito di una procedura di mobilità, lamentavano l'illegittimità dei recessi poiché: da una parte, non era stata osservata la «corretta scansione procedimentale» della fase di consultazione amministrativa avanti il competente organo regionale; dall'altra, la comunicazione di apertura della procedura di mobilità risultava incompleta laddove non risultavano adeguatamente esposti né lo stato delle trattative per la cessione del ramo d'azienda cui erano addetti, né le motivazioni che avrebbero giustificato la riduzione di personale.
Quanto al primo punto, la sentenza non si segnala per particolare chiarezza. Sembrerebbe di comprendere, tuttavia, che pur in assenza di accordo sindacale, la società datrice di lavoro avesse intimato i licenziamenti senza attivare (o attivando in ritardo) la fase amministrativa ai sensi dell'art. 4, comma 7, della L. 223/91. Al riguardo, la Corte Suprema esprime il seguente principio di diritto: «nell'ipotesi di licenziamento collettivo per riduzione di personale, a norma dell'art. 24 l. 223/1991, diverso dal licenziamento collettivo preceduto dalla mobilità previsto dall'art. 4 l. cit., la procedura di consultazione deve considerarsi esaurita, ai fini dell'accertamento di inefficacia o meno dei licenziamenti intimati, con riferimento esclusivo alle attività ed ai termini previsti dall'art. 4 da quinto a nono comma l. cit. e non anche alla fase amministrativa presso le Regioni, limitata alle procedure con intervento di integrazione salariale straordinaria, nonché per la dichiarazione di mobilità del personale, in assenza del trattamento di integrazione salariale nel licenziamento collettivo per riduzione di personale».
Una simile motivazione risulta contraddittoria, poiché – pur ricordando la sostanziale differenza tra la procedura di cui all'art. 24 della L. 223/91 e quella prevista dall'art. 4 – da una parte afferma che deve ritenersi correttamente espletata la procedura stessa (e legittimi i successivi licenziamenti) laddove risultino «esaurite» le «attività» e scaduti i «termini» di cui all'art. 4, commi da quinto a nono; dall'altra parte, così non sarebbe «con riferimento (…)alla fase amministrativa presso le Regioni»: che tuttavia, è espressamente richiamata dal comma 7 dell'art. 4, applicabile anche nell'ambito della procedura di cui all'art. 24.
Con riferimento, poi, al lamentato difetto di specificità della comunicazione di apertura della procedura, la Corte conferma la sua (anche recente) giurisprudenza, ribadendo «la necessità della conformazione della comunicazione ai requisiti prescritti dall'art. 4, terzo comma, L. 223/1991 per consentire alle organizzazioni sindacali di verificare il nesso tra le ragioni che determinano l'esubero di personale e le unità che, in concreto, l'azienda intende espellere, di talché sia evidenziabile la connessione tra le enunciate esigenze aziendali e l'individuazione del personale da licenziare e sia consentito all'interlocutore sindacale di esercitare in maniera trasparente e consapevole un effettivo controllo sulla programmata riduzione di personale, valutando anche la possibilità di misure alternative al programma di esubero».
Nel caso di specie, la Corte supera le denunciate carenze della comunicazione di apertura della procedura, osservando che sul punto, in appello, era stata fornita adeguata motivazione, non confutata dai ricorrenti. In particolare, la Corte territoriale aveva ritenuto ininfluente l'informazione circa lo stato delle trattative relative alla cessione del ramo d'azienda oggetto della riduzione di personale, poiché era assente «qualsiasi elemento» che consentisse «di ritenere che per questa via potesse evitarsi il ricorso al licenziamento collettivo ».

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