L'esperto rispondeRapporti di lavoro

Licenziamento e obbligo di repêchage

di Paolo Rossi

La domanda

Nell’ambito di una lettera di licenziamento per giustificato motivo oggettivo si chiede di sapere se è necessario, ai fini della validità del licenziamento, fare riferimento al c.d. obbligo di repêchage, ossia alla dimostrazione di non poter ragionevolmente utilizzare il dipendente interessato in altre mansioni equivalenti o, in mancanza, anche in mansioni deteriori, col limite del rispetto della dignità del lavoratore.

Il provvedimento del licenziamento per giustificato motivo oggettivo deve contenere, ai fini della sua validità, il riferimento al principio del c.d. obbligo di repêchage. Alla base di tale obbligo di riallocazione del lavoratore si trova la legge n. 604/1966 e la conseguente giurisprudenza, ormai consolidata, della Corte di Cassazione (Cass. civ. 13 agosto 2008, n. 21579; Cass. civ. 14 giugno 2005, n. 12769; Cass. Civ., 14 luglio 2005, n. 14815). Ai sensi dell’art. 3, parte seconda, della suddetta legge, è previsto che il licenziamento per giustificato motivo con preavviso deve essere determinato da ragioni inerenti all'attività produttiva dell’impresa, all'organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa. Il successivo art. 5 precisa che l’onere della prova relativamente all’esistenza di un effettivo motivo di carattere oggettivo che comporti il licenziamento, gravi sul datore di lavoro, il quale comprende altresì la dimostrazione di non poter ragionevolmente utilizzare il prestatore di lavoro interessato in altre mansioni equivalenti o, in mancanza di queste, anche in mansioni deteriori, rimanendo entro il limite del rispetto per la dignità del lavoratore. Parte della dottrina, alla luce della nuova disciplina indennitaria prevista dal Dlgs n. 23/2015 sul contratto a tutele crescenti, afferma che il requisito del repêchage dovrebbe ritenersi superato e, dunque, non più necessario ai della valutazione di legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo. La tesi sostiene che, venuta meno la sanzione della reintegrazione, sarebbe caduto anche l’obbligo del datore di lavoro di verificare l’impossibilità di reimpiegare il lavoratore in altre posizioni della struttura aziendale. In quest’ottica, è stato affermato che la verifica sulla ricollocabilità del lavoratore sia direttamente correlata alla tutela reintegratoria prevista dall’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, quale effetto della declaratoria d’invalidità del licenziamento intimato per ragioni inerenti all’attività produttiva o all’organizzazione del lavoro. Tuttavia, il fatto che il legislatore del 2015 (come era già avvenuto con la legge n. 92/2012) non abbia toccato i presupposti sostanziali del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, porterebbe, invece, alla conclusione opposta. I presupposti del licenziamento per giustificato motivo oggettivo ex legge n. 604/1966 sono rimasti quelli di sempre: • la sussistenza della ragione produttiva e organizzativa e il nesso di causalità di tale ragione con la posizione soppressa; • il repêchage; • l'eventuale applicazione dei criteri di scelta. L’idea di sottrarre il licenziamento per GMO da ogni legame con il requisito del repêchage non appare convincente proprio sotto questo profilo, in quanto non è con riferimento alla sanzione reintegratoria che è stato elaborato e concepito l’obbligo di verificare la possibilità di un diverso reimpiego del lavoratore nel perimetro aziendale, bensì in stretta relazione alle condizioni sostanziali della fattispecie. Non a caso il requisito del repêchage è stato utilizzato anche con riferimento ai licenziamenti economici adottati nelle imprese minori cui, alla luce dei più ridotti livelli occupazionali, non si è mai applicata la tutela della reintegrazione.

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