L'Inps spiega gli effetti del Brexit
Con il Messaggio n. 2936 del 4 luglio 2016 l'Inps ha fornito gli opportuni chiarimenti in merito alla definizione della legislazione comunitaria applicabile al Regno Unito in materia di sicurezza sociale dopo il 23 giugno, data in cui i cittadini del Regno Unito hanno espresso democraticamente la volontà di non far più parte dell'Unione europea.
La circostanza che abbia vinto il “leave” non implica, infatti, l'uscita automatica dall'Unione, dovendosi attendere la conclusione della procedura formalmente prevista dall'articolo 50 del Trattato sull'Unione europea. Sino a tale momento il Regno Unito continuerà ad essere uno Stato membro dell'Unione e, di conseguenza, seguiterà a trovare applicazione la regolamentazione comunitaria in materia di coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale.
I principi di coordinamento restano, dunque, dettati dal regolamento (CE) n. 883 del 29 aprile 2004, come modificato dai regolamenti (CE) n. 988/2009 e 987/2009, mentre nei confronti dei cittadini dei Paesi terzi, dei loro familiari e dei superstiti continuano a trovare applicazione i “vecchi” regolamenti n. 859/2003, n. 1408/71 e n. 574/1972 (si ricorda che il Reg. (UE) n. 1231/2010 non vincolava il Regno Unito).
Rilevanti conseguenze non dovrebbero riguardare neanche le pensioni Inps pagate in Gran Bretagna – come noto gestite da Citi bank – se non per l'impatto che la presumibile volatilità del cambio avrà sulle erogazioni effettuate in sterline inglesi, mentre, per i pagamenti effettuati in euro, l'Istituto ritiene assolutamente improbabile che le banche inglesi decidano di chiudere la loro connettività alle stanze di compensazione in euro.
Modifiche non sono attese neppure con riguardo alla documentazione di ingresso nel Regno Unito e alla copertura sanitaria per i cittadini italiani in Gran Bretagna.
La futura legislazione applicabile in materia di sicurezza sociale ai lavoratori transnazionali dipenderà allora dall'apposito accordo che il Regno Unito e l'Unione europea raggiungeranno all'esito della procedura di recesso.
Nel messaggio in commento l'Inps illustra, in particolare, gli aspetti fondamentali che caratterizzano la procedura prevista dall'articolo 50 del TUE, precisando che:
- è lo Stato che intende recedere a dover notificare tale intenzione al Consiglio europeo;
- le modalità del recesso debbono essere definite da una apposito accordo che l'Unione negozia e conclude con lo Stato che recede. L'accordo viene concluso a nome dell'Unione dal Consiglio, che delibera a maggioranza qualificata previa approvazione del Parlamento europeo;
- solo a decorrere dalla data di entrata in vigore dell'accordo di recesso i trattati cessano di essere applicabili allo Stato interessato. Qualora l'accordo non si raggiunga, i trattati restano applicabili sino a due anni dopo la notifica, salvo che il Consiglio europeo, d'intesa con lo Stato membro interessato, decida all'unanimità la proroga del termine.
Si tratta di una procedura complessa, che potrà essere attivata solo dal Regno Unito. In merito il Parlamento europeo, con la Risoluzione del 28 giugno 2016, ha auspicato un'attuazione rapida e coerente della procedura di recesso. L'instabilità politica che ha seguito il risultato della consultazione referendaria – con le dimissioni da Primo ministro di Cameron, le dimissioni di Farage da leader dell'Ukip e con la decisione dell'ex sindaco di Londra Johnson di non candidarsi come premier – non fa purtroppo propendere per una rapida attivazione dell'articolo 50.