EditorialeContenzioso

La decisione della Corte Europea sul salario minimo

di Tiziano Treu

N. 45

Guida al Lavoro

L'articolo analizza la sentenza della Corte di giustizia UE che, pur riconoscendo alcuni limiti, salva la direttiva europea sul salario minimo respingendo il ricorso della Danimarca. La Corte adotta una soluzione di compromesso, riducendo la portata vincolante di alcune norme ma confermando la competenza dell'UE a intervenire sulle condizioni di lavoro. La decisione rafforza il progetto di integrazione sociale europea e mette in luce i limiti dell'attuale quadro istituzionale nel contrastare il dumping salariale.

Origine del ricorso danese e risposta della direttiva

Il parere dell'avvocato generale …. osserva che l' azione posta alla Corte di Giustizia Europea dal regno di Danimarca non nasce dal nulla, ma riflette la costante opposizione di questo paese e degli Stati nordici a qualsiasi iniziativa della Unione europea che interferisca con l' autonomia contrattuale delle parti sociali.

Per rispondere a questa opposizione, manifestata nel corso della elaborazione della direttiva anche dall'Italia, la versione finale del testo ha previsto che l' obiettivo di garantire salari minimi adeguati possa essere perseguito oltre che con la fissazione di un salario minimo legale anche attraverso le disposizioni della contrattazione collettiva.

Questa apertura alla contrattazione collettiva non è stata tuttavia sufficiente a evitare la domanda della Danimarca di annullare integralmente la direttiva per il motivo principale che questa sarebbe incompatibile con l'art. 135 (5) del TFUE il quale esclude la retribuzione dalla competenza della Unione.

La decisione della Corte respinge la domanda secondo cui la direttiva pregiudicherebbe la ripartizione delle competenze fra Unione e Stati membri in quanto comporterebbe una ingerenza diretta della Unione nella determinazione delle retribuzioni e nel diritto di associazione che rientra nelle competenze nazionali. Accetta le ragioni della domanda solo per quanto riguarda due disposizioni particolari (vedi oltre).

La sentenza si fonda su una linea argomentativa articolata su due assunti.

La competenza dell'UE e il perimetro dell'eccezione salariale

La Corte ritiene anzitutto, in linea con sua precedente giurisprudenza, che non si possa ritenere esclusa la competenza dell'Unione in tutte le questioni che presentano un nesso qualsiasi con le retribuzioni e con il diritto di associazione.

Se al legislatore europeo "fosse impedito di adottare misure aventi in pratica effetti o ripercussioni positivi sul livello delle retribuzioni, anche se agisse nel pieno rispetto delle diversità delle prassi nazionali e dell'autonomia delle parti … la capacità del legislatore della Unione di realizzare gli obiettivi della politica sociale quali enunciati dall' art.151 primo comma TFUE e più in generale di concretizzare la dimensione sociale della integrazione all' interno della Unione … sarebbe fortemente compromessa".

La Corte rileva che adottando la direttiva in questione il legislatore della Unione si è basato sul combinato disposto degli art. 153 para 2 lett b e 153 para 1 lett b TFUE che abilitano ad adottare prescrizioni minime nel settore delle "condizioni di lavoro".

Al riguardo osserva che la finalità della direttiva impugnata è "volta a migliorare le condizioni di vita e di lavoro nell'Unione, in particolare l' adeguatezza dei salari minimi per i lavoratori al fine di contribuire alla convergenza sociale verso l' alto e alla riduzione delle disuguaglianze retributive, elementi questi che sono un presupposto fondamentale per conseguire una crescita equa, inclusiva e sostenibile".

La eccezione relativa alle retribuzioni di cui all' art 153 para 5 del TFUE che esclude la competenza della Unione, deve essere intesa in modo da comprendere le misure che come la uniformazione di tutti o parte degli elementi costitutivi dei salari e/o del loro livello o la instaurazione di un salario minimo a livello dell'Unione comporterebbero una diretta ingerenza del diritto della Unione nella determinazione delle retribuzioni all'interno di quest'' ultima".

La decisione riporta anche i pareri di Parlamento, Consiglio e Commissione europea che sottolineano come la direttiva intervenga a determinare la adeguatezza dei salari minimi attraverso requisiti minimi procedurali relativi e inoltre promuova contrattazione collettiva ai fini della determinazione di tali salari. Secondo la Corte si tratta non di obblighi di risultato, ma strumentali che operano nel pieno rispetto della autonomia delle parti sociali e delle prerogative normative degli Stati membri.

In effetti tale valutazione si ritrova anche nei molti commenti relativi alla direttiva che hanno segnalato come il legislatore europeo, consapevole della delicatezza della questione e delle fragilità delle basi giuridiche della direttiva, sia stato molto attento a evitare invasioni nei poteri statali (vedi per tutti i rilievi in T.Treu, La proposta sul salario minimo e la nuova politica della Commissione europea, in DRI, 2021, p. 6 ss., e Ancora sul salario minimo, in Lavoro Diritti Europa, 2023, p 199 ss.).

Le norme della direttiva considerate ingerenze e quelle salvate

L' esame delle varie disposizioni della direttiva condotto secondo il criterio della "ingerenza diretta del diritto della Unione nella determinazione delle retribuzioni" conduce la Corte a identificare tale ingerenza solo in due casi specifici.

La prima norma censurata è quella art 5 (2) che impone agli Stati membri, ove prevedano salari minimi legali, di rispettare alcuni criteri specifici per la determinazione e aggiornamento di tali salari (potere di acquisto dei salari minimi tenendo conto del costo della vita, livello dei salari e loro distribuzione, tasso di crescita dei salari, livelli e andamento a lungo termine della produttività).

Secondo la Corte la previsione di tali criteri comporterebbe l' armonizzazione di una parte degli elementi costitutivi dei salari minimi legali, e di conseguenza una ingerenza diretta nella determinazione delle retribuzioni.

La seconda norma censurata è quella che impedisce la riduzione dei salari minimi legali quando la legislazione nazionale prevede un meccanismo automatico di indicizzazione di tali salari.

Per quanto riguarda la parte della direttiva che regola l'intervento della contrattazione collettiva nella fissazione dei salari minimi, la Corte respinge la tesi della Danimarca secondo cui la direttiva, disciplinando settori rientranti nella azione di diritto di associazione e imponendo agli Stati di adottare misure per proteggere i sindacati e le associazioni datoriali, violerebbe la competenza (degli Stati) relativa al diritto di associazione contenuta nell' art 153, para 5, TFUE.

Si rileva infatti che l' art 4, contestato dalla Danimarca, non detta alcuna norma in materia di associazione, ma si limita a fissare un quadro di condizioni favorevoli alla contrattazione collettiva per aumentare il suo tasso di copertura senza prescrivere niente circa i suoi risultati e garantendo pienamente l'autonomia delle parti sociali.

Criticità nella distinzione tra criteri ammessi e criteri censurati

In realtà la linea argomentativa adottata della Corte per giustificare le proprie conclusioni circa le norme della direttiva da censurare e quelle da salvare secondo il criterio dichiarato ha sollevato più di una perplessità.

In particolare la Corte ha ritenuto di poter salvare il ricorso dell' art 5 para 4 a criteri di riferimento utili a valutare la adeguatezza del salario minimo quali il 60% del salario lordo mediano e il 50% del salario lordo medio, che sono qualificati come indicativi dallo stessa norma; ha invece censurato il ricorso ai criteri dell'art 5, par 2 ritenendo che questa norma costituisse una ingerenza diretta nella determinazione delle retribuzioni.

Ora come è stato rilevato anche da altri, la distinzione fra le due forme di intervento è alquanto fragile. Non si può dire che i criteri del paragrafo 2 siano più stringenti perché dettagliati in modo specifico, di quelli del paragrafo quattro art. 5, perché anzi questa seconda norma rinvia a indicazioni numeriche precise.

I criteri del paragrafo 2 rinviano a elementi quali il potere d' acquisto dei salari, il livello generale dei salari e il loro tasso di crescita, l' andamento al lungo termine della produttività.

Inoltre il paragrafo 1 dello stesso art. 5 è formulato in modo alquanto "possibilista", perché prevede che la determinazione dei salari minimi sia "basata su criteri stabiliti per contribuire alla loro adeguatezza", che gli Stati membri "definiscano tali criteri conformemente alle rispettive prassi nazionali nel pertinente diritto nazionale, nelle decisioni degli organi competenti o in accordi tripartiti, e che inoltre che gli Stati possono decidere il peso relativo di tali criteri, compresi gli elementi di cui al paragrafo 2, tenendo conto delle rispettive condizioni socio economiche nazionali".

Queste sono tutte precisazioni che indicano il carattere non rigidamente vincolante ma orientativo dei criteri i quali lasciano ampi margini di flessibilità applicativa agli stati membri.

Tale interpretazione sembra confermata dai considerando 28 e 29 della direttiva ove si parla di "indicatori e valori di riferimento associati (da utilizzare) per orientare la valutazione dell' adeguatezza dei salari minimi legali".

Una soluzione di compromesso che attenua la portata vincolante

In realtà si può ritenere che la decisione della Corte ha scelto una linea di compromesso la decisone della Corte europea ha scelto una linea di compromesso che fa salvo l'impianto della direttiva ma che, censurando i punti riportati, riduce la rilevanza giuridica vincolante, in realtà già orientativa, di due norme relative alla adeguatezza dei salari minimi legali.

Si può dire che in questo modo le indicazioni sulla adeguatezza quantitativa di tali salari assumono il carattere di linee guida non precettive, una sorta di soft law o di raccomandazione inserita nel testo della direttiva.

Questa "riduzione normativa" avvicina la parte della direttiva riguardante il salario minimo legale alla sezione che si occupa del salario minimo realizzabile attraverso la contrattazione collettiva.

Infatti nella formulazione dell' art 4 che riguarda la via contrattuale al salario minimo, la adeguatezza del salario, quando questo è fissato da contratti collettivi, viene data per acquisita.

Lo conferma il fatto che la norma non fa alcun cenno al criterio di adeguatezza neppure per tenere conto della indicizzazione, ma invece considera solo il tasso di copertura dei contratti collettivi (l' 80%), il quale è ritenuto necessario e sufficiente per garantire una tutela abbastanza ampia per contrastare la diffusione dei bassi salari.

Si tratta di una scelta che ha sollevato dubbi sulla sua efficacia e congruenza rispetto all' obiettivo di garantire un salario minimo adeguato. E' appena il caso di rilevare che il riconoscimento, comune nei nostri ordinamenti dell' autonomia collettiva come fonte privilegiata di determinazione delle condizioni di lavoro, non equivale a sottrarla da ogni giudizio sulla adeguatezza nei suoi prodotti.

Tale adeguatezza si basa essenzialmente sul riconoscimento della rappresentatività degli agenti negoziali che è ritenuta garanzia di idoneità a esprimere in modo efficace e democratico gli interessi delle parti, in primis dei lavoratori, coinvolti nel negoziato (vedi T. Treu, Ancora sul salario minimo, Lavoro Diritti Europa, 2023, p.202).

Non a caso recenti e ben note decisioni della Corte di Cassazione italiana del 2 ottobre 2023 decise in un contesto che ha messo in dubbio tale garanzia di idoneità hanno ritenuto di censurare le determinazioni della retribuzione stabilite da contratti collettivi nazionali (cfr. Testo e commenti in RGL, p.531 e p.497 ss.).

Valutazione complessiva e implicazioni per il futuro dell'UE sociale

In conclusione mi sembra che si possa valutare positivamente la scelta della Corte di giustizia europea di salvare la direttiva, sia pure con argomenti discutibili che ne incrinano la (possibile) rilevanza giuridica. La decisione ha così consolidato la base costituzionale delle competenze dell'Unione in materia sociale (L. Ratti, Op.-Ed., Out of the Shadows: the Court of Justice and the Limits of EU Law Competence on Determining Minimum Wages).

Una scelta diversa che avesse accettato le conclusioni dell' avvocato generale di ritenere l' intera direttiva contraria ai Trattati, avrebbe costituito un segnale negativo nei confronti di una iniziativa della Commissione von der Leyen emblematica del nuovo corso della politica europea: un corso più attento del passato alle questioni sociali e a dare valore giuridico ai principi del Pillar of social rights con regole volte a contrastare le divergenze fra gli ordinamenti europei di diritto del lavoro accresciute dalle ferite delle crisi.

In realtà la decisione della Corte non ha conseguenze nel sistema danese, che non ha una legge sul salario minimo e i cui contratti collettivi hanno una copertura superiore all'80%. Per lo stesso motivo la sentenza non produce (per ora) nessun impatto nell' ordinamento italiano.

Il significato e l'impatto della scelta operata con questa direttiva, come di altre succedutesi negli anni recenti, non vanno misurate solo o tanto nella loro coerenza e rigore giuridici, che risentono fortemente delle tensioni interne fra gli Stati della Unione oltre che delle pressioni esterne globali.

Essi andranno giudicati nel tempo dalla capacità delle istituzioni e delle parti sociali comunitarie di fronteggiare queste tensioni e queste pressioni e per altro verso dalle scelte dei sistemi nazionali cui spetta di implementare le normative della Unione.

Inoltre le vicende contrastate di questa come di altre recenti direttive che operano per spingere la integrazione sociale europea al limite delle competenze esistenti sollecitano una riflessione sul futuro dell'Unione.

Le scelte nel caso della materia qui esaminata mostrano con evidenza che "non può esserci un mercato europeo veramente unico ….. se persiste un dumping sociale basato sulla competenza esclusiva nazionale in materia salariale" (M. Faioli, La sentenza della corte UE sul salario minimo e i trattati da rispettare, il Foglio, 12 novembre 2025, pag. 3).

Più in generale segnalano che l' attuale assetto istituzionale della Unione appare inadeguato a fronteggiare le sfide poste dal contesto sociale ed economico attuale.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©