Rivalutazione tagliata oltre 2.100 euro mensili
IL disegno di legge di Bilancio reintroduce il meccanismo di adeguamento su tutto l’importo dell’assegno invece che quello per fasce. Nel 2023 e 2024 extra aumento per le minime
Al fine di contrastare gli effetti negativi delle tensioni inflazionistiche registrate nel 2022 e attese per il 2023, l’articolo 58 del disegno di legge di Bilancio modifica nuovamente la metodologia di rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici. Per il biennio 2023/2024, l’adeguamento all’inflazione non avviene a fasce ma in funzione dello scaglione in cui l’importo della pensione si colloca, come già avvenuto negli ultimi anni. Soltanto per il 2022, il legislatore ha scelto di tornare alla modalità “ordinaria” di rivalutazione a fasce.
Nel 2023, per importi di pensione complessivamente pari o inferiori a quattro volte il trattamento minimo (controvalore 2.101,52 euro), la rivalutazione verrà attribuita in misura piena, cioè il 7,30% secondo il decreto ministeriale 10 novembre 2022. Per importi superiori a 2.101,52 euro l’adeguamento all’inflazione si ridurrà via via dall’80 al 35% della stessa, come riportato nella tabella.
In ogni caso, per le rendite di importo appena superiori ai citati limiti e inferiori ai limiti stessi aumentati della rivalutazione automatica, è prevista una clausola di salvaguardia che garantisce un innalzamento fino al limite maggiorato.
Inoltre, viene introdotto un incremento eccezionale per le pensioni di importo pari o inferiore al trattamento minimo Inps. La norma stabilisce, in via transitoria, un incremento di 1,5 punti percentuali per il 2023 e di 2,7 punti percentuali per il 2024. L’erogazione di tale incremento non rileva, per gli anni di riferimento, ai fini del superamento dei limiti reddituali previsti nei medesimi anni per il riconoscimento delle prestazioni collegate al reddito. Qualora l’importo in pagamento risulti superiore ma inferiore al limite aumentato delle percentuali suindicate, sarà comunque attribuito l’incremento fino a concorrenza del predetto limite maggiorato.
Gli aumenti dell’1,50/2,70%, che saranno riconosciuti mensilmente, ivi compresa la tredicesima, non rilevano ai fini delle rivalutazioni degli anni 2023 e 2024. Tali incrementi cesseranno di produrre effetti allo scadere delle singole annualità. In altri termini, gli aumenti “una tantum” hanno come finalità quella di aumentare la disponibilità finanziaria del pensionato, senza che possa considerarsi un valore consolidato a regime nell’importo della pensione stessa.
Secondo quanto previsto dalla relazione tecnica, l’incremento dell’1,5% – e conseguentemente anche quello del 2024 – dovrebbe applicarsi sul valore della pensione già adeguata, considerando quindi l’aumento provvisorio al 7,30% che sarà erogato da gennaio 2023. A tal riguardo, il dossier del Servizio studi del Parlamento mette in evidenza la necessità di chiarire meglio l’effettiva interpretazione fornita dalla relazione tecnica in quanto, di norma, gli adeguamenti andrebbero calcolati sul valore definitivo dell’anno precedente (quindi su 525,38 euro).
Anche l’assegno sociale sarà adeguato provvisoriamente al tasso del 7,30% passando da 469,03 euro mensili a 503,27 euro.
A differenza degli altri anni, con la mensilità di gennaio 2023 non scatterà il conguaglio relativo al differenziale di perequazione tra quella effettiva (1,90%) e quella stimata in occasione del rinnovo delle pensioni 2022 (inizialmente 1,60%, conguagliato a 1,70% con la mensilità di marzo 2022), in quanto il Dl 115/2022 aveva previsto l’erogazione del conguaglio, in anticipo, con la scorsa mensilità di novembre 2022.