Previdenza

Non c'è pace per la supertassa sulle pensioni d'oro

di Antonio Carlo Scacco

Dopo la censura del "contributo di perequazione" introdotto dal Governo Berlusconi, una ritenuta sui trattamenti pensionistici più elevati, la Corte costituzionale si occuperà presto anche del "contributo di solidarietà" introdotto dal Governo Letta con la legge di stabilità per il 2014. Anche quest’ultima misura, come la precedente, mira a introdurre elementi di equità sociale: «Non si vede perché nel momento in cui si chiedono sacrifici a tutti qualcuno debba essere escluso», dichiarava l’allora ministro del Lavoro Giovannini.
Ma non tutti sembrano essere d’accordo. Questa volta è stata la Corte dei conti del Veneto, nella veste di giudice unico delle pensioni, a sollevare la rilevante e non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale della norma (Corte dei conti, sez. giurisdizionale per il Veneto, ord. 16 gennaio 2015).
Il legislatore del 2013, memore dei trascorsi rilievi costituzionali, aveva tentato di mettere al riparo il nuovo prelievo da ulteriori censure accentuandone il carattere solidaristico (da qui il nome "solidarietà").
La precedente pronuncia del Giudice delle leggi (sentenza n. 116/2013) era infatti arrivata alla pronuncia di incostituzionalità del precedente contributo perequativo assumendone la natura sostanzialmente tributaria: in quanto tale il prelievo, gravante su una categoria limitata di soggetti (i pensionati), era idoneo a violare il principio fondamentale di uguaglianza a parità di reddito di cui agli articoli 3 e 53 della Costituzione.
Da qui la premura nel voler accentuare il carattere solidaristico del nuovo contributo, finalizzandone espressamente la destinazione non alla generica fiscalità generale ma alle competenti gestioni previdenziali obbligatorie, anche al fine di concorrere al finanziamento degli interventi in favore degli esodati (articolo 1, comma 486, della legge 147/13). Così configurato il prelievo avrebbe dovuto perdere (almeno nelle intenzioni del legislatore) la qualifica di tributario per assumere quella di prestazione patrimoniale imposta per legge ai sensi dell’articolo 23 della Costituzione, sottraendosi in tal modo alle censure di costituzionalità.
Ma se l’obiettivo è lodevole, pare esserlo assai meno il modo adottato per conseguirlo. Come ha puntualmente eccepito la Corte veneta, la lettera della norma presta il fianco a critiche. La genericità della previsione normativa non consente di individuare «alcun puntuale vincolo finalistico nell’impiego delle somme» e lo stesso generico riferimento ai lavoratori cosiddetti esodati, oltre a non esser vincolante quanto alla destinazione dei contributi … non viene adeguatamente sostanziato dalla individuazione di specifiche prestazioni previdenziali».
In altri termini, nonostante il diverso nomen iuris utilizzato, si tratterebbe in buona sostanza di un «intervento finanziario di pura "cassa" nel quadro delle complessive dinamiche della finanza pubblica», quindi, in ultima analisi, di carattere sostanzialmente tributario.
Se le argomentazioni della Corte dei conti veneta trovassero accoglimento presso la Consulta, i rilievi che portarono alla pronuncia di incostituzionalità del vecchio contributo conserverebbero attualità anche nei confronti del nuovo, con le conseguenze che si possono immaginare.

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