L’impugnabilità degli estratti di ruolo in materia contributiva
Il contenzioso sulla verifica delle posizioni debitorie contributive incardinate in titoli esecutivi stragiudiziali (ad esempio, cartelle di pagamento) fornisce continuamente spunti di riflessione e questioni di una certa importanza e complessità, spesso risolti solo attraverso ripetuti interventi interpretativi giurisprudenziali.
Frequente è il caso, ad esempio, di ricorsi giudiziali con cui si contesta il decorso del termine prescrizionale quinquennale per il recupero dei contributi previdenziali, quando non solo il momento di emersione del debito, ma anche il titolo formato in via stragiudiziale siano collocati indietro nel tempo.
Il tutto è complicato dal fatto che, in parallelo alla separazione tra la titolarità del credito e la titolarità dell'azione esecutiva, quest'ultima è solitamente svolta dai soggetti incaricati della riscossione, e non dagli stessi enti impositori (le funzioni di Agente della Riscossione sono passate oggi all'agenzia delle Entrate, succeduta ad Equitalia). Il fenomeno che si rappresenta il più delle volte in questo tipo di contenzioso è quello della mancata notifica dei titoli stragiudiziali (cartella di pagamento, avviso di addebito) e comunque del maturarsi del termine prescrizionale in assenza di atti interruttivi per più di un quinquennio anche dopo la formazione del titolo.
In questi casi i ricorsi, come è avvenuto nel caso trattato dalla Corte di cassazione, VI sez. civile, ord. n. 6166 del 1° marzo 2019, si strutturano spesso nella forma di opposizioni ad estratto di ruolo, quale atto con cui il contribuente, contestando l'avvenuta notifica dei titoli stragiudiziali, viene a conoscenza dell'esistenza di un debito a suo carico nei confronti dell'ente. In questa particolare situazione, si tratta allora di verificare se vi sia un effettivo interesse a proporre impugnazione avverso tale documento, in quanto lo stesso non veicola all'esterno alcuna pretesa contributiva. Occorre premettere, in via generale, che a fronte delle iscrizioni a ruolo dei debiti contributivi (e della formazione dell'avviso di addebito per le entrate Inps) si possono evidenziare almeno tre possibilità di reazione: a) l'opposizione per ragioni di merito, con contestazione della pretesa contributiva e applicazione del rito lavoro (art. 24 commi 5 e 6 del Dlgs n. 46/1999); b) l'opposizione all'esecuzione, con cui si contesta la sopravvenienza di fatti estintivi dell'obbligazione successivi alla formazione del titolo o del diritto a procedere ad esecuzione forzata (art. 618 bis c.p.c.); c) la contestazione della irregolarità del titolo esecutivo per vizi che attengono alla regolarità formale della sua formazione, quali la carenza di motivazione dell'atto, i vizi di notifica, la legittimità e regolarità dei singoli atti esecutivi. In tal caso l'opposizione è agli atti esecutivi ed è regolata dall'articolo 618 bis e 617 c.p.c.
Di fatto, è la separazione tra titolarità del credito e titolarità dell'azione esecutiva cui abbiamo accennato ad implicare una certa varietà negli strumenti a disposizione del contribuente. Come si colloca l'impugnazione dell'estratto di ruolo in questo contesto? La Cassazione sul punto ritiene debba confermarsi il principio della non impugnabilità in via autonoma dell'estratto di ruolo (cfr. Cass. n. 22946/2016), in quanto tale atto costituisce una mera riproduzione della parte del ruolo relativa alle pretese creditorie azionate con la cartella esattoriale, contenendo altresì gli estremi dell'identificazione del debitore. Proprio perché si tratta di atto interno all'amministrazione è privo di effetti nei confronti dell'interessato, il quale potrà invece reagire contro l'atto visibile rappresentato dalla cartella di pagamento /avviso di addebito di cui riceve la notifica.
Vero è che le sezioni Unite della Cassazione, in materia tributaria, hanno espresso un principio apparentemente non in sintonia con questa ricostruzione (cfr. SSUU n. 19704/2015): secondo questa pronuncia, il contribuente può impugnare la cartella di pagamento della quale, per effetto della nullità della notifica, sia venuto a conoscenza solo attraverso un estratto di ruolo rilasciato su sua richiesta dal concessionario della riscossione, senza dover necessariamente attendere la notifica di un atto successivo. L'ipotesi è quella di un atto precedente non notificato, del quale si può recuperare la contestazione attraverso l'impugnazione dell'atto successivo, ma non solo. Se, infatti, il contribuente viene a conoscenza dell'atto non notificato attravarso un atto diverso, è possibile far valere l'invalidità della notifica anche senza aspettare il successivo atto, e quindi anche attraverso la conoscenza apportata dall'estratto di ruolo.
Ebbene, ferma restando la validità di questo principio di tutela nei confronti del contribuente, dove invece il titolo esecutivo sia stato regolarmente notificato, tale tutela non ha più ragion d'essere, in quanto le contestazioni che riguardano il merito della pretesa contributiva avrebbero dovuto essere sollevate attraverso una tempestiva impugnazione del ruolo. Se dunque la tutela si trasferisce sul piano della reazione contro la minaccia di esecuzione, è possibile affermare che non vi è un interesse attuale ad agire, in quanto l'opposizione ex articolo 615 c.p.c., con cui si contesta il diritto a procedere ad esecuzione forzata, presuppone l'esistenza di una minaccia attuale di atti esecutivi, circostanza che non si è verificata nel caso di specie. Ciò comporta, secondo la conclusione adottata dalla Corte nell'ordinanza in commento, che lo strumento adeguato per reagire ad una simile situazione di quiescenza, o di inattività rispetto alla data di consolidamento dell'atto impositivo, è costituito da una semplice istanza in via amministrativa e non giudiziale, con la quale si chieda l'eliminazione in autotutela della pretesa contributiva (sgravio), quasi sicuramente prescritta in considerazione del lungo tempo trascorso rispetto alla formazione del titolo stragiudiziale.