La truffa, anche se di poco valore, giustifica il licenziamento
Un danno da 24 euro giustifica un licenziamento. La Cassazione, con la sentenza 11181/2019, ha ritenuto legittima la decisione presa dalla Corte d'appello in merito al licenziamento della cassiera di un negozio, provvedimento ritenuto illegittimo dal tribunale.
La dipendente, invece di consegnarli a una cliente, ha trattenuto dei buoni sconto che sono stati abbinati a una tessera fedeltà risultata smarrita e successivamente utilizzati dal marito per pagare la spesa. Secondo la difesa, non potevano essere ritenute acquisite in via presuntiva le prove della mancata consegna dei buoni alla cliente e l'impossessamento degli stessi con artifici e raggiri, dato che nella sentenza di secondo grado non sono stati indicati indizi gravi, precisi e concordanti.
Secondo la Cassazione, in secondo grado sono stati evidenziati «gli elementi di fatto secondari, sia quelli non contestati, sia quelli che hanno trovato conferma nelle deposizioni testimoniali, che valutati congiuntamente, hanno portato i giudici di appello ad evidenziarne la rilevanza in termini di prova presuntiva».
Nel caso specifico, la Suprema corte ritiene che il ragionamento probatorio presuntivo è stato utilizzato in modo corretto e dall'esame di fatti secondari (il fatto che la dipendente conoscesse il numero della tessera smarrita e i filmati che ritraggono il marito pagare con i buoni) ha ottenuto la prova del fatto principale, cioè la volontà della cassiera di utilizzare i buoni a suo vantaggio.
Quanto alla sanzione corrispondente alla condotta adottata dalla lavoratrice, la Cassazione osserva che la Corte d'appello ha ben valutato il venir meno dell'elemento fiduciario nel rapporto con il datore di lavoro «indipendentemente da una valutazione economica dell'entità del danno causato…certamente non rilevante», valorizzando invece la gravità della condotta, ricollegata alla truffa.