Contenzioso

Il Belgio non garantisce la libera circolazione dei lavoratori

di Gina R. Simoncini

La sentenza che si commenta (C-317/14) muove dalla corretta interpretazione dell'articolo 45 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea ed è relativa alla libera circolazione dei lavoratori, il cui scopo è abolire qualsiasi discriminazione, fondata sulla nazionalità, tra i lavoratori degli Stati membri, per quanto riguarda l'impiego, la retribuzione e le altre condizioni di lavoro.
Sul tema, inoltre, ha rilevanza strategica anche il regolamento n. 492/2011, secondo cui non sono applicabili le disposizioni di uno Stato, in relazione all'accesso all'impiego, che prevedano condizioni diverse a seconda che si tratti dei suoi cittadini o di stranieri.
La Corte di giustizia, il 5 febbraio scorso, ha posto fine alla causa che vedeva come parti la Commissione europea, in qualità di ricorrente, e il Belgio, nelle vesti di convenuto.
Oggetto del contendere era il riconoscimento di come il Belgio fosse venuto meno agli obblighi relativi alla libera circolazione dei lavoratori, pretendendo da tutti coloro che volessero lavorare in uffici pubblici nel proprio territorio il superamento di un esame organizzato da uno specifico ente.
Il Belgio, infatti, esigeva che i candidati per impieghi nei servizi locali delle regioni di idioma francese e tedesco producessero un diploma in cui era evidenziato che avessero svolto i propri studi nella lingua per cui chiedevano occupazione.
Nella denegata ipotesi, la quale peraltro rappresentava la grande maggioranza dei casi, che i candidati non avessero un diploma al cui interno vi fosse la dicitura dello studio in lingua, erano obbligati a sostenere un esame organizzato dal servizio pubblico federale (Selor), dal cui esito positivo si produceva un attestato, unico mezzo di prova atto a accertare le conoscenze linguistiche per accedere ai posti di lavoro.
In effetti, una siffatta disposizione aveva il potere di escludere indirettamente i cittadini degli altri stati membri dall'impiego offerto poiché, a priori, li costringeva a recarsi nel territorio belga al solo fine di farsi valutare mediante una prova indispensabile per l'ottenimento di quel certificato abilitante al deposito di una qualsiasi candidatura.
Nel procedimento precontenzioso, più volte la Commissione europea aveva richiesto al Belgio di conformarsi al diritto dell'Unione stessa e di eliminare le evidenti forme di discriminazione neutra legate alla possibilità di accedere a un posto di lavoro.
Dopo una lunga serie di missive, intercorse da marzo 2010 a novembre 2013, in cui lo stato deficitario (Belgio) da un lato mostrava la volontà di adeguarsi, dall'altro ribadiva la complessità della questione e quindi la non facile modifica delle disposizioni statali, la Commissione decideva di proporre ricorso il 18 dicembre 2014, avendo ricevuto un mero progetto di legge regionale, privo del relativo decreto di attuazione.
La Corte di giustizia, nella trattazione della causa, argomentava la liceità che uno Stato membro potesse richiedere un diploma attestante il superamento di un esame di lingua, in relazione alla natura dell'impiego offerto, ma statuiva che ciò doveva essere attuato in maniera proporzionale.
Il fatto di esigere l'esistenza di un unico tipo di certificato, rilasciato unicamente da un ente belga incaricato di organizzare esami, per dimostrare e accertare le abilità linguistiche, diveniva un elemento di estrema difficoltà per i cittadini di altri Stati membri e indirettamente, promuoveva l'occupazione dei cittadini belgi.
Come ha rilevato la Corte, sebbene il Belgio avesse avviato un iter legislativo per conformare la normativa nazionale ai requisiti del diritto dell'Unione, l'invocazione delle difficoltà, sottese alla modifica dell'ordinamento interno non poteva di certo giustificare l'inosservanza degli obblighi derivanti dal diritto dell'Unione.
Pertanto, a conclusione del procedimento, la Corte dichiarava soccombente il Belgio, condannandolo alle spese e statuiva che, con la richiesta di un unico certificato, rilasciato esclusivamente da un ente ufficiale belga, per i candidati non in possesso della dicitura relativa allo studio in lingua sul proprio diploma, si sottraeva agli obblighi ad esso incombenti in forza dell'articolo 45 Tfue e del regolamento (Ue) n. 492/2011 del Parlamento Europeo e del Consiglio in tema di libera circolazione dei lavoratori all'interno dell'Unione.

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