Contrattazione

Personale, ecco il testo dell'intesa sulla riforma dei comparti

di Davide Colombo e Gianni Trovati

Per i rinnovi contrattuali dei dipendenti pubblici la partita vera inizia ora, e la palla ripassa al governo che dovrà elaborare una proposta con i 300 milioni di euro messi a disposizione dall'ultima manovra, a cui si aggiungono i fondi che regioni ed enti locali dovranno trovare da soli.


Contratti «più semplici»
È questo il primo effetto dell'intesa raggiunta ieri notte (e anticipata sul Quotidiano degli enti locali e della Pa di ieri) fra sindacati e Aran, l'agenzia che rappresenta la pubblica amministrazione come datore di lavoro, sulla riforma dei comparti, che aggrega in quattro ambiti gli undici nei quali oggi è diviso il pubblico impiego. «Così il sistema contrattuale è più semplice e innovativo per i lavoratori pubblici e per il Paese», commenta su Twitter la ministra per la Semplificazione e la Pa Marianna Madia; per il presidente dell'Aran Sergio Gasparrini «la riduzione drastica del numero dei contratti collettivi nazionali potrà favorirne la rapida definizione, e si potrà anche provare ad utilizzare la strumentazione, rimasta nel cassetto in questi anni, per valutare performance e premi di produttività». Definito il quadro, toccherà andare nel merito dei rinnovi contrattuali, e lì le questioni sono ancora più spinose: «Ora non ci sono più alibi», fanno subito sapere i segretari generali di Cgil, Cisl e Uil, Camusso, Furlan e Barbagallo, ma per i rinnovi le risorse attuali «non bastano». Da Palazzo Vidoni, comunque, filtra l'intenzione di convocare le organizzazioni sindacali per una sorta di “tavolo di ascolto” sia sul rinnovo contrattuale sia sul nuovo testo unico del pubblico impiego: il testo rappresenta un pilastro nel secondo capitolo dell'attuazione della riforma Madia, e ovviamente solleva temi che si intrecciano in modo stretto con i nuovi contratti.
La riforma che si attua oggi è quella prevista nel 2009 dal decreto Brunetta, che per semplificare i contratti e sfoltire la rete di sigle e prerogative sindacali fissò in quattro il numero massimo dei comparti a partire dal «successivo rinnovo contrattuale»: l'anno dopo, però, la crisi di finanza pubblica spinse l'allora ministro dell'Economia Giulio Tremonti a bloccare la contrattazione nel pubblico impiego, con una misura poi rinnovata due volte prima che a luglio la Corte costituzionale, con la sentenza 178/2015, imponesse di far ripartire la macchina.


I contenuti dell'intesa
Di qui il riavvio delle trattative, che dopo settimane passate sul filo dei tecnicismi hanno prodotto una soluzione ponte per avviare l'aggregazione dei comparti senza imporre ricette troppo amare per essere digerite da sindacati e dipendenti. Nel comparto delle «funzioni locali» (che oggi si chiama «regioni ed enti locali») e in quello della sanità non cambia in realtà quasi nulla, con l'unica precisazione che i dirigenti sanitari del ministero della Salute finiranno fra le «funzioni centrali» e quelli di aziende sanitarie e ospedaliere fra le «funzioni locali», in cui anche i segretari comunali e provinciali saranno insieme ai dirigenti. Le novità più importanti si concentrano invece nel «comparto dell'istruzione e della conoscenza», chiamato a riunire i circa 100mila dipendenti dell'università (con l'esclusione dei docenti, che in regime di diritto pubblico) e i 20mila degli enti di ricerca al milione di persone che lavora nella scuola, e in quello delle «funzioni centrali», dove confluiranno ministeri, agenzie fiscali, enti pubblici come Inps, Inail e Aci.


Le sezioni
Scrivere regole comuni per strutture così diverse non è impresa facile, e per questa ragione l'intesa imbocca la strada del doppio binario contrattuale, formato da una «parte comune riferita agli istituti applicabili ai lavoratori di tutte le amministrazioni» del comparto e «parti speciali o sezioni» per disciplinare «alcuni peculiari aspetti» che non sono «pienamente e immediatamente uniformabili». Nell'intesa, questo secondo aspetto è descritto come eventuale e quasi marginale, ma è probabile che almeno all'inizio le parti comuni si occuperanno delle regole di base del rapporto di lavoro, per esempio i permessi, le malattie o le ferie, mentre toccherà alle parti speciali regolare i temi più caldi anche per le buste paga. Tra un'agenzia fiscale e un ministero, per esempio, i livelli retributivi sono molto diversi, e regolati da istituti costruiti spesso su misura per le singole amministrazioni: e per far migrare questi aspetti nella contrattazione di secondo livello ci vuol tempo.
La fusione dei comparti ha poi ricadute importanti sul terreno sindacale perché per partecipare alle trattative, e alla divisione di permessi e distacchi, ogni sigla deve raggiungere il 5% nella media di voti e deleghe (si veda l'articolo qui a fianco). Anche su questo aspetto, che ha allungato parecchio le trattative e interessa soprattutto i sindacati più “settoriali”, l'accordo costruisce un ponte fra vecchio e nuovo sistema, che però non è privo di incognite. Dopo la firma definitiva, i sindacati avranno 30 giorni per comunicare all'Aran, con «idonea documentazione», l'intenzione di allearsi fra loro per rispettare i nuovi parametri, per poi ratificare il nuovo assetto entro la fine del 2017.

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