L’obiettivo dell’accordo tra le parti
Il lavoro tramite piattaforma digitale rappresenta oggi un segmento marginale del mercato del lavoro (coinvolge circa 700mila persone, pari al 2,5% della popolazione in età attiva), ma si tratta pur sempre di un settore paradigmatico dei profondi mutamenti in atto, che è destinato a crescere di pari passo con il superamento di quell'analfabetismo digitale che tuttora affligge larga parte della popolazione.
Il lavoro che nasce e si sviluppa tramite le piattaforme digitali è uno degli ambiti tecnologicamente più avanzati dove poter organizzare l’incontro tra domanda e offerta, dove poter reperire prodotti e acquistare servizi in tempi rapidi e a prezzi competitivi. Non si tratta di uccidere questi modelli di imprenditoria digitale, ma di liberarne al massimo le potenzialità.
Una regolamentazione per via legislativa del lavoro nella Gig economy (alla bozza di legge del ministro Di Maio e al disegno di legge Ichino si sono aggiunte le proposte di legge regionale del Piemonte e del Lazio) rischia di avere effetti di soffocamento, piuttosto che di crescita solidale ed equa.
L’idea di ricondurre i platform workers (l’idraulico di Instapro o la baby sitter di Sitly, il rider di Foodora o il personal trainer di Pimlico, l’autista di Uber o il giardiniere di Jobby) nel recinto della subordinazione o della stessa parasubordinazione (le co.co.co dell’articolo 409 del codice di procedura civile sopravvissute e anzi rivitalizzate dopo la cancellazione del lavoro a progetto) rischia di rivelarsi un esercizio sterile, quando non dannoso, considerando che siamo in presenza di forme di lavoro molto diverse tra loro.
La baby sitter e il giardiniere ingaggiati tramite la piattaforma elettronica sono certamente dei lavoratori indipendenti o, quantomeno, più autonomi dell’'autista di Uber o dei food rider di Deliveroo, ma anche questi ultimi non sono facilmente assimilabili al lavoro dipendente.
Il tema centrale non è più la qualificazione del rapporto, ma la previsione di garanzie sul piano economico, assicurativo e previdenziale, di misure antinfortunistiche, di costi associati alla manutenzione dei mezzi e di copertura contro i danni a terzi.
È del 29 giugno la Carta dei valori del food delivery sottoscritta a Milano da player del calibro di Foodora e Moovenda, nella quale si prevedono, ad esempio, una copertura assicurativa Inail, una posizione Inps e la fornitura gratuita dei dispositivi di protezione individuale.
Nella stessa direzione si è mossa la Carta dei diritti fondamentali del lavoro digitale promossa dal comune di Bologna, dove trovano una regolamentazione l’utilizzo responsabile degli algoritmi reputazionali e il preavviso in caso di recesso.
Il sistema sembra proiettato verso una regolamentazione per via collettiva. È su questo terreno che, anche nello spirito dell’accordo interconfederale del 9 marzo 2018, occorre concentrare gli sforzi. Senza dimenticare che l’articolo 2 del decreto legislativo 81/2015 può fornire un valido supporto, posto che le collaborazioni continuative e personali regolamentate attraverso un accordo collettivo nazionale, quand’anche si trattasse di rapporti etero-organizzati, non ricadono sotto la disciplina del lavoro dipendente.