Contrattazione

Ai giovani quattromila euro in meno all’anno

di Cristina Casadei

Il nostro paese è attraversato da una questione salariale allo stato latente. Almeno per ora, perché se guardiamo i numeri - che, come dice qualcuno, se torturati possono dire qualsiasi cosa - e proviamo a fare ragionamenti in prospettiva, sui giovani soprattutto, la questione potrebbe anche esplodere. Le disuguaglianze salariali riguardano infatti soprattutto la fascia tra i 15 e i 34 anni che guadagna mediamente il 21% in meno rispetto alla media: è questo l’altro lato della medaglia di chi ha la fortuna di avere quell’età. Il rapporto “+ Salari - Disuguaglianze”, realizzato da Fisac Cgil e Isrf Lab e curato da Agostino Megale e Nicola Cicala, calcola che nel decennio 2007-2017, un giovane under 35 ha guadagnato oltre 4mila euro in meno all’anno, rispetto al salario medio. Ha quindi avuto complessivamente minori entrate per 40mila euro. I giovani sono tra i più penalizzati, ma non sono i soli a vedere il segno meno rispetto alla media sul loro salario. I lavoratori del sud rispetto a quelli del nord guadagnano il 14% in meno, le donne rispetto agli uomini il 20%, i precari il 23%, gli stranieri Ue il 18% mentre quelli extra Ue il 23%.

Nel decennio 2007-2017 l’indice dei prezzi al consumo è cresciuto più del 16%, le retribuzioni lorde contrattuali del 18%, le retribuzioni nette di fatto del 9,5%. I contratti quindi hanno difeso i salari dall’inflazione, ma metà di quanto è stato conquistato con i rinnovi è stato assorbito dalle tasse. «È come se i salari vivessero tra due gabbie - osserva il segretario nazionale della Fisac Cgil, Giuliano Calcagni - ossia il cuneo fiscale e la mancata redistribuzione delle produttività». Da settore a settore qualche differenza c’è. Il commercio è passato da una retribuzione media annua di 24.772 euro del 2007 a una di 25.914 del 2017, la metallurgia da 25.818 a 28.611, i chimici da oltre 25mila a 30mila, le assicurazioni da 32.463 a 31.457, il credito da 39.285 a 39.004.

Nel settore del credito, ha ricordato Agostino Megale (segretario generale della Fisac), i bancari e le bancarie hanno fatto la loro parte nel lungo periodo della crisi e «sono tra coloro che hanno recuperato di meno. In compenso ci sono state migliaia di uscite attraverso il fondo di solidarietà», l’ammortizzatore del credito che ha contribuito ad annullare l’effetto macelleria sociale. Adesso, però, alla vigilia del rinnovo contrattuale, proprio quando i sindacati sono alle prese con la piattaforma rivendicativa (il 19 ottobre ci sarà un primo incontro dei segretari generali) Megale dice che «la produttività di un sistema che nell’ultimo anno ha distribuito 14 miliardi di dividendi va aggiunta al recupero dell’inflazione».

Il presidente del Casl, Salvatore Poloni (condirettore generale Banco Bpm) ascolta con attenzione le rivendicazioni sindacali ma invita tutti a guardare il cambiamento in corso e quello che ci aspetta. Certamente «innanzitutto c’è un tema contratto - dice Poloni -: nel nostro settore il contratto collettivo nazionale ha un ruolo importante, anche se non esclusivo. Guardandoci indietro è stato proprio il contratto nazionale che ci ha consentito di gestire momenti di crisi profonda. Guardando al futuro il contratto dovrà supportare il cambiamento in corso e quello che ci aspetterà nei prossimi anni». Il contesto è complesso e in questa complessità Poloni ricorda che per le aziende «c’è un altro tema molto importante che è quello della sostenibilità. Nel nostro paese ci sono istituti la cui storia è iniziata 100, 150 anni fa e ci auguriamo che abbiano una storia altrettano lunga di fronte». Quindi la questione salariale «sarà un tema, ci confronteremo certamente anche sui salari, ma non si può ridurre il confronto alla dinamica salariale. La sfida del rinnovo contrattuale va vista in modo molto più rotondo», dice Poloni.

I dieci anni della crisi si sono lasciati alle spalle molta terra bruciata e sono stati contrassegnati da una perdita del potere di acquisto dei lavoratori dipendenti, che nel nostro paese sono gravati da una tassazione molto elevata. Guardando in prospettiva, le leve su cui insistere, per Agostino Megale sono 3: «Produrre ricchezza, redistribuirla e infine ridurre la tassazione sul lavoro e sulle pensioni. Per questo servirebbe aprire un tavolo con il Governo perché deve fare riflettere il fatto che in Italia il costo medio per addetto per l’impresa è 46mila euro e il 47,7% è assorbito dalle tasse».

Le buste paga più penalizzate

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