Contrattazione

L’integrazione dei migranti passa dal lavoro

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di Tommaso Frattini

In Italia, il dibattito sull’immigrazione ruota intorno alla crisi dei rifugiati e agli sbarchi di migranti sulle nostre coste meridionali. Questi fenomeni richiedono la massima attenzione. Gli sbarchi registrati negli ultimi due anni (circa 300mila persone) corrispondono però a una quota piccola della popolazione straniera residente in Italia, circa sei milioni, 90% dei quali è nel Paese da oltre cinque anni.

Il tema strutturale è l’integrazione economica di questa popolazione stabile, analizzata in un recente rapporto dell’Osservatorio delle migrazioni promosso dal Centro Studi Luca d’Agliano e dal Collegio Carlo Alberto, che sarà presentato oggi, alle 17,30 al Collegio Carlo Alberto di Torino.

I Paesi con una forza lavoro più qualificata attraggono anche immigrati con maggiore istruzione. L’Italia, che ha una forza lavoro autoctona con il tasso di istruzione universitaria tra i più bassi in Europa (19%), ha anche il più basso tasso di istruzione universitaria tra gli immigrati fra tutti i Paesi della Ue (14%).

La forte presenza di lavoratori immigrati con una bassa qualifica non ostacola il loro processo di integrazione nel mercato del lavoro. Gli immigrati hanno tassi di occupazione simili ai nativi contrariamente agli altri Paesi europei. Lo conferma la rapidità dell’assimilazione occupazionale dei neo-arrivati: il divario nel tasso di impiego tra immigrati e nativi è superiore a 40 punti percentuali per coloro che sono appena arrivati in Italia, ma si azzera entro il sesto anno di residenza. Questo dato generale per l’Italia deriva soprattutto dal fatto che gli immigrati tendono a concentrarsi nelle aree ad alta occupazione. In ogni modo, il grado di assimilazione occupazionale non varia se si tiene conto anche del livello di istruzione, di età e genere dei cittadini stranieri. In altre parole, un immigrato ha la stessa prospettiva occupazionale di un cittadino italiano a parità di caratteristiche individuali.

Se questo è un dato positivo, che indica la capacità del nostro mercato del lavoro di assorbire la forza lavoro immigrata, il quadro cambia se si confrontano i livelli retributivi. I redditi netti mensili degli immigrati sono inferiori in media del 26%. Oltre la metà di questa differenza è dovuta alla maggiore concentrazione degli immigrati in occupazioni poco retribuite, rispetto a nativi con simili profili di età, genere e istruzione: gli ingegneri che fanno i muratori o le insegnanti occupate come colf o badanti. Tuttavia, i loro salari rimangono inferiori di quasi il 9% anche rispetto a quelli dei nativi con simili caratteristiche e che svolgono lo stesso tipo di lavoro. Il divario salariale tra immigrati e nativi si riduce nel corso del tempo, ma non si chiude mai: se in media gli immigrati in Italia da un anno guadagnano il 40% in meno, il divario è ancora di circa il 20% dopo 20 anni dall’arrivo nel Paese. Il processo di crescita salariale durante la permanenza in Italia avviene soprattutto attraverso la “scalata” verso occupazioni meglio retribuite, e più in linea con il livello di istruzione posseduto dai migranti. Tuttavia, il gap salariale con gli italiani occupati nello stesso tipo di lavoro è estremamente persistente nel corso del tempo: il divario rimane comunque al 9% dopo venti anni in Italia.

La rapida integrazione occupazionale degli immigrati nel mercato del lavoro italiano indica dunque come essi vadano a coprire le carenze di manodopera esistenti, soprattutto nei lavori meno qualificati dove l’offerta di nativi è carente. Tuttavia tale integrazione sembra avvenire a scapito dei livelli retributivi. Il che dovrebbe suonare come un campanello d’allarme per gli immigrati stessi, che corrono il rischio essere relegati a un ruolo di marginalità nel mercato del lavoro. E anche per l’Italia nel suo complesso: la marginalità lavorativa si può associare a una marginalità sociale.

Un obiettivo della politica migratoria potrebbe essere attrarre persone più qualificate e almeno avvicinarsi alla media europea. D’altra parte, se l’istruzione media degli immigrati riflette quella dei nativi, questo significa che il Paese ha un problema più generale: creare più occupazione qualificata, qualunque sia il Paese di nascita dei lavoratori.

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