Soluzione non praticabile per i ritardi cronici del Paese
Se fossimo un Paese normale la proposta contenuta nel Ddl di iniziativa del senatore Maurizio Romani, di consentire l’autocertificazione per i primi tre giorni di assenza dal lavoro per malattia, non susciterebbe stupore. Una proposta, è bene precisare, che allo stato è circoscritta al solo lavoro alle dipendenze della Pa ma che, in caso di approvazione, potrebbe poi essere rapidamente estesa anche al settore privato.
Se fossimo un Paese normale potremmo ritenere la proposta una logica conseguenza del testo di legge da poco approvato dal Parlamento sul lavoro agile. Le tecnologie di nuova generazione, che consentono di lavorare in ogni luogo e a ogni ora, stanno demolendo la centralità dell’ufficio orientando i rapporti di lavoro verso logiche fiduciarie e collaborative. Un cambio di paradigma, quello dello smart working, che lascia presupporre il passaggio dalle dinamiche gerarchiche di comando e controllo tipiche del Novecento industriale a un nuovo umanesimo del lavoro scandito da parole d’ordine come fiducia, responsabilità, obiettivi. Tutto questo con benefici per imprese e lavoratori. Le prime in termini di maggiore produttività e di una cultura manageriale focalizzata sui risultati più che sulla semplice presenza al lavoro. I secondi in termini di maggiore benessere e di una migliore conciliazione tra tempi di vita e di lavoro.
Se fossimo un Paese normale potremmo ricollegare la proposta ai grandi cambiamenti demografici che colpiscono l’Italia più di altri Paesi per l’invecchiamento della popolazione attiva. Già oggi in Europa quasi il 25% della popolazione in età di lavoro soffre i disturbi di almeno una malattia cronica mentre la quota di malati cronici che lavora è pari al 20% della forza-lavoro. Bene, dunque, attrezzarci per gestire, anche negli ambienti di lavoro, le patologie più gravi, lasciando alla libertà e responsabilità delle persone la gestione delle malattie brevi e meno invasive. Non a caso la stessa evoluzione della contrattazione collettiva si sta muovendo in questa direzione mediante la responsabilizzazione dei lavoratori con la riduzione della retribuzione via via che si reiterano assenze per malattie brevi. Senza dimenticare poi che oggi per un lavoratore è assai semplice farsi rilasciare un certificato medico adducendo malesseri che difficilmente sono verificabili sul piano clinico con limitate possibilità di accertamento da parte del medico.
Tutto vero e bello se per l’appunto fossimo un Paese normale. Un Paese in cui leggi importanti come la 104, per l’ assistenza ai disabili, non fossero largamente abusate. Un Paese in cui, ciclicamente, emergono nuovi sconcertanti episodi dell’esercito dei furbetti del cartellino e dove la notte di Capodanno oltre l’80% dei vigili urbani della Capitale può risultare assente per malattia senza alcuna conseguenza.
Proposte che portano a prendere consapevolezza del futuro del lavoro vanno discusse senza pregiudizi. E tuttavia è difficile farlo in Italia, pena iscriversi nel partito degli illusi e dei sognatori. Eppure sono proprio questa impreparazione e questo ritardo culturale a incidere pesantemente sul deficit di sviluppo e sulla bassa produttività del lavoro del nostro Paese. A essere penalizzate sono così tutte le parti in gioco. I lavoratori, che non possono gestire in modo responsabile le malattie brevi, ma anche le imprese che faticano a sviluppare logiche collaborative e rapporti fiduciari propri della Quarta rivoluzione industriale.