Contenzioso

Contratti a termine discontinui: il lavoratore ha diritto al risarcimento per il danno da perdita di chance

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di Antonella Iacobellis

La Corte di cassazione, con l'ordinanza 6493/2022 del 28 febbraio, ha stabilito che il lavoratore che presta servizio in maniera discontinua ha diritto al risarcimento del danno da perdita di chance. In particolare, il pregiudizio sofferto dal dipendente di un datore di lavoro di natura pubblica è soggetto a onere probatorio agevolato ed è normalmente correlato alla perdita di altre occasioni di impiego stabile.

I fatti di causa traggono origine dalla richiesta di risarcimento del danno avanzata da un dipendente avverso il proprio datore di lavoro (di natura pubblica), in ragione dell'illegittimità dei contratti di lavoro a termine e delle relative proroghe in forza dei quali il ricorrente aveva prestato servizio per circa 9 anni, di cui 4 in modo discontinuo. La Corte di appello, in riforma della sentenza di primo grado, aveva accolto le doglianze del ricorrente ritenendo illegittimi – per genericità delle causali e per violazione del regime della proroga – i contratti a termine, insuscettibili di conversione stante la natura pubblica del datore di lavoro ma «tali da legittimare la pretesa al risarcimento del danno, parametrato sul regime sanzionatorio di cui all'art. 18 Stat. Lav.».

Il datore di lavoro ricorreva in Cassazione con unico motivo lamentando la non conformità a diritto della statuizione con cui la Corte d'appello «ritenuto provato il danno, ha proceduto alla determinazione equitativa del medesimo, assumendo a parametro la norma statutaria con sommatoria dell'importo della sanzione minima pari a 5 mensilità e dell'indennità sostitutiva della reintegrazione».

La Suprema corte ha accolto il ricorso forte dell'arresto delle sezioni unite (sentenza 5072/2016) secondo cui, per quanto riguarda la determinazione del risarcimento del danno subito dal dipendente pubblico nel caso di un illegittimo reiterarsi di contratti a termine, la norma da utilizzare è l'articolo 32, comma 5, della legge 183/2010 che sanziona la illegittima apposizione del termine al contratto a tempo determinato nel settore privato. Infatti, tale norma è sistematicamente coerente e strettamente contigua alla fattispecie della illegittima apposizione del termine per abusiva reiterazione nel lavoro pubblico.

Non lo sono invece tutte le altre norme - usate dai giudici in diverse sentenze - che stabiliscono il risarcimento basandosi sul concetto di licenziamento illegittimo (per esempio articolo 18 della legge 300/1970; articolo 8 della legge 604/1966; articolo 1 della legge 92/2012; articolo 3 del Dlgs 23/2013). Tutte queste norme, infatti, partono dal presupposto della perdita di un posto di lavoro, che nel caso di contratti a termine nel settore pubblico, non può verificarsi, stante il disposto dell'articolo 97 della Costituzione che stabilisce che agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, concorso che non c'è stato per i contratti a termine.

Si aggiunge che quanto statuito dall'articolo 97 della Costituzione non può che costituire una proiezione del principio di uguaglianza che vuole che tutti, secondo capacità e merito valutati per il tramite di una procedura di concorso, possano accedere all'impiego pubblico e che, all'opposto, non consente l'accesso in ruolo stabile per altra via. Non può quindi non rilevarsi questo connotato tipico dell'impiego pubblico rispetto all'impiego privato:
– nel primo caso, la reazione dell'ordinamento giuridico all'illegittimo ricorso al contratto di lavoro a tempo determinato consiste nel solo risarcimento del danno;
– nel secondo caso, l'illegittimo ricorso al contratto di lavoro a tempo determinato è sanzionato con la conversione del rapporto di lavoro in contratto a tempo indeterminato, nonché nel riconoscimento del risarcimento.

Si può, infatti, sostenere che il lavoratore nel settore pubblico che subisce l'abuso della successione di contratti a termine rimane confinato in una situazione di precarizzazione subendo un danno da perdita della chance di conseguire l'assunzione mediante concorso nel pubblico impiego o la costituzione di un ordinario rapporto di lavoro privatistico a tempo indeterminato.

Tutto quanto precisato, si sottolinea come la Suprema corte con la decisione in esame ha voluto ribadire che il pregiudizio sofferto dal lavoratore nel settore pubblico, soggetto a un onere probatorio agevolato, deve considerarsi correlato:
– alla perdita da chance (secondo cui per danno da perdita di chance si intende il venir meno della possibilità di ottenere nel futuro vantaggi patrimoniali ed economici a causa di un danno ingiusto) di altre occasioni di lavoro stabile;
– non alla mancata conversione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato,ritenendosi pertanto incongruo il riferimento all'articolo 18 della legge 300/1970 e potendosi fare esclusivo riferimento al parametro per la quantificazione del danno individuato nell'articolo 32, comma 5, della legge 183/2010 (che inerisce proprio al caso di risarcimento del danno in caso di illegittima apposizione del termine).

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