Contrattazione

Contratti a termine, torna il «causalone» per un anno

Le parti individuali possono subentrare alla contrattazione collettiva fino ad aprile 2024. Alcuni accordi collettivi hanno già introdotto causali per superare i 12 mesi

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di Aldo Bottini

L’intervento del decreto legge Lavoro (nella bozza disponibile oggi) sulla disciplina del contratto a termine lascia intatti i limiti quantitativi (20% dell’organico) e di durata (24 mesi) in vigore e rivede invece drasticamente il sistema delle causali (re)introdotto dal decreto Dignità. Quella della necessità di una giustificazione per l’apposizione di un termine al contratto di lavoro è una storia lunga e tormentata, iniziata con la legge 230/1962 che, per prima, ha introdotto le causali di ricorso al contratto a tempo determinato.

Da allora il meccanismo è stato più volte rimaneggiato, con l’aggiunta di nuove causali a quelle originarie (le «punte stagionali di attività» nel 1983) o con la delega alla contrattazione collettiva ad aggiungere ulteriori causali a quelle di legge (legge 56/1987). Nel 2001 le causali tassative sono state per così dire “accorpate” in una sola, il “causalone” (ragioni tecniche, organizzative, produttive o sostitutive), che con la sua genericità ha prodotto un considerevole volume di contenzioso.

Nel 2015 il decreto Poletti ha abolito la necessità della causale, affidando la prevenzione degli abusi alla previsione di limiti quantitativi e di durata per i contratti a termine. L’effetto è stato un immediato crollo del contenzioso in materia. Il decreto Dignità del 2018 ha reintrodotto le causali per i rapporti oltre i 12 mesi e per i rinnovi, tanto nel contratto a termine quanto nella somministrazione, rendendole peraltro ancor più rigide di quelle originarie al punto da essere praticamente inapplicabili. Tanto che la stessa contrattazione collettiva ha cercato per certi versi delle vie di fuga dalla causale, introducendo nuove ipotesi di stagionalità o ricorrendo alle possibilità di deroga alle disposizioni legislative accordate ai contratti di prossimità.

Nel 2021, in piena pandemia, alle causali del decreto Dignità è stata aggiunta quella delle specifiche esigenze previste dai contratti collettivi, aprendo così la porta a una flessibilizzazione dell’istituto collettivamente contrattata.

Quest’ultima è la strada imboccata dal decreto Lavoro del Governo Meloni, che ha scelto di non abolire tout court il sistema delle causali (come sarebbe stato possibile), ma di affidarne la gestione ai contratti collettivi. Confermata l’acausalità del primo contratto sino a 12 mesi, alla contrattazione collettiva (nazionale, territoriale o aziendale) è stabilmente affidata la possibilità di individuare i casi nei quali è possibile apporre un termine di durata superiore ai 12 mesi, prorogare un contratto oltre tale termine ovvero procedere a un rinnovo (indipendentemente in quest’ultimo caso dalla durata), ferma restando comunque (per legge) la causale sostitutiva.

Solo nel caso in cui la contrattazione collettiva applicata in azienda nulla disponga in merito, è consentito alle parti individuali andare oltre la soglia dei 12 mesi (oppure procedere al rinnovo di un contratto precedente) individuando «esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva». Ma solo fino al 30 aprile 2024: dopo tale data (salvo proroga del termine), si dovrà esclusivamente far riferimento alle casistiche elaborate dalla contrattazione collettiva.

Un ritorno (temporaneo) dunque al vecchio causalone, con il correlato rischio di riattivazione del contenzioso giudiziario. L’intento è evidentemente quello di dar tempo alla contrattazione collettiva di esercitare la delega affidatale dalla legge. Una facoltà, peraltro, di cui alcuni contratti collettivi (dal credito alla logistica, al settore assicurativo), hanno già fatto uso nei recenti rinnovi, avvalendosi della possibilità offerta dalla norma del 2021. Sono state individuate, quali causali per il superamento dei 12 mesi e per i rinnovi, esigenze di vario tipo legate alle necessità dei singoli settori (avvio di nuove attività, incrementi dell’attività lavorativa, commesse improvvise, manutenzioni straordinarie, e così via) ma anche, a volte, situazioni soggettive (giovani, disoccupati, lavoratori svantaggiati, donne provenienti da aree svantaggiate).

È prevedibile, però, e anche auspicabile, che sarà soprattutto la contrattazione collettiva aziendale, più vicina alle esigenze da tenere in considerazione, a disciplinare la materia. Salvo future modifiche legislative: quello del contratto a termine, si sa, è un cantiere sempre aperto.

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