Demansionamento, prestazione rifiutabile se la reazione è proporzionata all’inadempimento datoriale
Ricorrendo queste condizioni, il licenziamento disciplinare irrogato dal datore di lavoro è illegittimo
Il lavoratore adibito a mansioni inferiori rispetto a quelle del proprio inquadramento può legittimamente rifiutare lo svolgimento della prestazione, tanto più se il contratto collettivo nazionale applicato al rapporto sanziona unicamente il rifiuto di svolgere compiti che rientrano nella qualifica. Il rifiuto di eseguire mansioni inferiori e diverse da quelle della qualifica non è insubordinazione, a condizione che la reazione del lavoratore sia stata proporzionata all'inadempimento datoriale e conforme ai canoni di buona fede.
Ricorrendo queste condizioni, il licenziamento disciplinare irrogato dal datore di lavoro per rifiuto del lavoratore di svolgere le nuove dequalificanti mansioni è illegittimo e comporta l'applicazione del rimedio della reintegrazione in servizio e del risarcimento danni nella misura massima delle 12 mensilità prevista dall'articolo 18, comma 4, dello Statuto dei lavoratori.
I principi espressi dalla Cassazione (ordinanza 30543/2022 del 18 ottobre) riposano sul presupposto che il rifiuto di adempiere un ordine datoriale diretto allo svolgimento di attività di contenuto inferiore rispetto l'inquadramento non è, in assoluto, un comportamento insubordinato sanzionabile con provvedimento espulsivo. L'assegnazione delle mansioni inferiori può giustificare la decisione del lavoratore di incrociare le braccia se il rifiuto di svolgerle è proporzionato rispetto la gravità della condotta datoriale ed è stato gestito con modalità improntate a buona fede, nel bilanciamento dei contrapposti interessi delle parti.Il caso sul quale è stata chiamata a pronunciarsi la Corte di legittimità è relativo al licenziamento di una cuoca addetta alla preparazione di pasti per essersi, in più occasioni, rifiutata di portare le colazioni in classe e distribuire le merende.
La lavoratrice aveva ricercato un confronto con i responsabili aziendali per segnalare che le mansioni richieste non rientravano nella sua qualifica e trovare una soluzione di tipo organizzativo. In mancanza di un positivo riscontro datoriale, la lavoratrice si era rifiutata di distribuire le merende in classe e la società l'aveva licenziata per grave insubordinazione.La lavoratrice ha impugnato il licenziamento, rimarcando che il rifiuto di eseguire i compiti dequalificanti era legittimo e la domanda è stata accolta in tutti i gradi di merito. La Corte d'appello di Roma, in particolare, ha osservato che la scelta datoriale di assegnare le mansioni inferiori non rispondeva a un'esigenza improrogabile e imprevedibile, laddove determinava, invece, un aggravio dell'impegno lavorativo a carico della dipendente.
La Cassazione rigetta il ricorso della società e ribadisce che il rifiuto di eseguire le mansioni di una qualifica inferiore non è segno di insubordinazione se il lavoratore ha agito in buona fede e la reazione non è sproporzionata rispetto all'imposizione dei compiti dequalificanti.È un approdo in discontinuità rispetto ad altri arresti della giurisprudenza per cui, se il datore impone mansioni peggiorative, il lavoratore non può auto-sospendere la prestazione lavorativa, salvo casi residuali in cui è riscontrabile un irreparabile pregiudizio. Il lavoratore deve, invece, rivolgersi al giudice del lavoro per fare accertare il depauperamento professionale e ottenere un ordine di riassegnazione alle mansioni proprie della qualifica.La pronuncia in commento segue un approccio diverso, che valorizza anche le modalità attraverso cui si perviene al rifiuto, e finisce per allargare lo spazio per opporre l'eccezione di inadempimento al datore che assegna compiti della qualifica inferiore.
Legittima la riduzione della retribuzione se deriva da contratto collettivo
di Potito di Nunzio e Laura Antonia di Nunzio