Contrattazione

Dirigenti, la causa del recesso è integrabile

di Pasquale Dui

Il datore di lavoro può esplicitare o integrare la motivazione del licenziamento del dirigente anche nell’ambito del giudizio - nel rispetto del principio del contraddittorio - se la motivazione non è stata resa al momento del licenziamento o risulta comunque insufficiente o generica. Questo può “salvare” il datore dal pagamento dell’indennità supplementare stabilita dal contratto collettivo applicato al rapporto dirigenziale, o stabilita dal giudice. Lo ha stabilito la Cassazione con la sentenza 3147 del 1° febbraio 2019.

La Corte ha già chiarito in passato che può considerarsi licenziamento ingiustificato del dirigente, cui la contrattazione collettiva collega il diritto all’indennità supplementare in ipotesi non definite dai principi di correttezza e buona fede, solo quello non sorretto da alcun motivo (e quindi meramente arbitrario) o sorretto da un motivo che si dimostri pretestuoso e quindi non corrispondente alla realtà (Cassazione, sentenza 3547 del 7 marzo 2012).

L’indennità supplementare

La contrattazione collettiva prevede con l’indennità supplementare una sorta di indennizzo, con funzione anche di penale risarcitoria, nel caso di licenziamento del dirigente del quale sia stata riconosciuta l’ingiustificatezza.

Quanto alla natura giuridica dell’indennità, si può ritenere assodato che questa sia un risarcimento del danno conseguente al licenziamento ingiustificato che – in questo senso – è un vero e proprio inadempimento contrattuale. L’indennità, di conseguenza, assume la sostanza di una penale ex articolo 1382 del Codice civile, pur nella previsione di una fascia di importi che ne delimitano il valore minimo e quello massimo.

La Cassazione ha precisato che il giudizio sulla misura dell’indennità supplementare è rimesso alla valutazione discrezionale del giudice di merito e non è censurabile se non per vizio di motivazione (si veda la sentenza della Cassazione 5175 del 16 marzo 2015).

Il calcolo dell’importo

Sui criteri da utilizzare per stabilire in concreto l’ammontare dell’indennità supplementare, molti contratti, quando si tratta di quantificare un importo compreso tra un minimo e un massimo di mensilità di retribuzione, adottano criteri particolari che, indicativamente, tengono conto dell’età del dirigente, dell’anzianità di servizio, delle circostanze del caso concreto, da intendersi anche con riferimento alla condotta delle parti relativa al licenziamento.

Questa condotta, a sua volta, deve essere rapportata ai parametri legali della correttezza e della buona-mala fede nell’esecuzione del contratto e in occasione della cessazione, con riferimento a condotte particolarmente maliziose o arbitrarie e irrazionali e/o irragionevoli dell’imprenditore.

La giurisprudenza, dal canto suo, ha indicato che l’indennità deve essere determinata valorizzando gli elementi della durata del rapporto e delle eventuali ragioni di merito delle parti. Nel caso siano previsti specifici criteri nella contrattazione collettiva, il giudice deve attenersi a questi, ovviamente qualora siano razionali e calibrati, cosa che avviene nella totalità dei casi di enunciazioni del contratto collettivo nazionale di riferimento. Solo in mancanza di indicazioni del Ccnl, sopperisce la valutazione del giudice di merito, sulla base delle linee direttive elaborate ormai da una giurisprudenza datata e consolidata.

In forza del rinvio operato, poi, dalla contrattazione collettiva alle mensilità di preavviso, per i criteri di calcolo della singola mensilità, l’indennità supplementare va determinata con riferimento all’unità di misura della mensilità di preavviso nella sua interezza, così come disciplinata, nei suoi criteri di calcolo, dall’articolo 2121 del Codice civile, secondo il quale l’indennità deve essere calcolata «computando le provvigioni, i premi di produzione, le partecipazioni agli utili o ai prodotti ed ogni altro compenso a carattere continuativo, con esclusione di quanto corrisposto a titolo di rimborso spese».

È una nozione tendenzialmente onnicomprensiva della retribuzione utile per il calcolo, dalla quale difficilmente si possono estrapolare elementi retributivi che non rientrano nella nozione legale. Il calcolo prevede che si consideri la mensilità base, con tutti gli elementi continuativi, maggiorata dei ratei di mensilità supplementare, del controvalore di eventuali erogazioni in natura e della media di eventuali compensi variabili e/o incentivanti degli ultimi tre anni.

Sulla spettanza o meno degli interessi e della rivalutazione monetaria, e sulla individuazione del dies a quo, la Cassazione identifica questo momento con la data del licenziamento, sulla base della accertata natura risarcitoria e del significato sanzionatorio nei confronti dell’imprenditore e considerato il suo logico collegamento con il licenziamento, ritenuto poi ingiustificato.

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