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Divieto di licenziamento della lavoratrice madre ed ipotesi esimenti

Una lavoratrice che si trova nei primi mesi di gravidanza, decide di trasferirsi all'estero trasferendo anche la residenza: può il datore di lavoro procedere al licenziamento considerando che trattandosi di piccolo studio professionale, non ha interesse a nominare un referente previdenziale e tanto meno a costituire una stabile organizzazione, nello stato estero?

di Maria Grimaldi

La domanda

Una lavoratrice che si trova nei primi mesi di gravidanza, decide di trasferirsi all'estero trasferendo anche la residenza: può il datore di lavoro procedere al licenziamento considerando che trattandosi di piccolo studio professionale, non ha interesse a nominare un referente previdenziale e tanto meno a costituire una stabile organizzazione, nello stato estero?

L'articolo 54 del D.lgs. 151 del 26 marzo 2001 regolamenta il divieto di licenziamento in base al quale "Le lavoratrici non possono essere licenziate dall'inizio del periodo di gravidanza fino al termine dei periodi di interdizione dal lavoro previsti dal Capo III, nonchè fino al compimento di un anno di età del bambino."
Il terzo comma del medesimo articolo regolamenta le fattispecie nelle quali non opera tale divieto di licenziamento – in base al quale il licenziamento è viziato da nullità -prevedendo tra queste alla lettera a) la "colpa grave da parte della lavoratrice, costituente giusta causa per la risoluzione del rapporto di lavoro".
Riguardo alla "giusta causa" la giurisprudenza si è consolidata stabilendo alcuni elementi cardine , successivamente alla sentenza della corte costituzionale n. 61 del 1991, elementi che possono essere così riassunti:
1) la colpa grave della lavoratrice, non può ritenersi integrata dalla sussistenza di un giustificato motivo soggettivo, ovvero di una situazione prevista dalla contrattazione collettiva quale giusta causa idonea a legittimare la sanzione espulsiva (Cassazione 29 settembre 2011, n.19912) ma è necessario - alla luce della Sentenza della Corte Costituzionale- verificare se sussista quella colpa specificamente prevista dalla suddetta norma e diversa, per l'indicato connotato di gravità, da quella prevista dalla disciplina pattizia per i generici casi d'inadempimento del lavoratore sanzionati con la risoluzione del rapporto: in concreto il licenziamento era avvenuto a seguito di una assenza di 4 giorni in base alle previsioni del ccnl;
2) Inoltre l'accertamento e la valutazione in concreto della prospettata colpa grave si risolve in un accertamento di fatto riservato al giudice di merito, come tale non sindacabile in sede di legittimità se sorretto da motivazione congrua e immune da vizi logici o giuridici " (Cassazione 9405/2003, Cassazione 12503/2000, Cassazione 610/2000, Cassazione 19912/2011).
La Corte di cassazione ha inoltre ritenuto legittimo il licenziamento per il configurarsi della "colpa grave" nella condotta posta in essere da parte della lavoratrice madre, che, non presentandosi sul luogo di lavoro alla scadenza del periodo di congedo per maternità per oltre 40 giorni , aveva avuto un comportamento contrario al principio di buona fede e correttezza. (Cassazione 5 settembre 2012, n.14905).
Nel caso proposto- per come prospettato- pare obiettivamente non proseguibile il rapporto di lavoro, in considerazione della impossibilità a rendere la prestazione in condizioni di prossimità e presenza ( se così concordato lo svolgimento del rapporto di lavoro), considerando che certamente lo studio professionale non puo' ritenersi obbligato a costituire una "stabile organizzazione" nello stato estero elettivamente scelto dalla dipendente come propria residenza.
Si ritiene pertanto ipotizzabile la sussistenza della "colpa grave" (specifica) e della giusta causa – a fronte della assenza- e quindi – comunque previo l'espletamento delle procedure previste dall'articolo 7 della legge 300/70 – l'intimazione del licenziamento con tale motivazione.

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