Previdenza

Premi di produzione anche sganciati dal risultato per coprire i contributi

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di Michela Magnani e Antonello Orlando

Il decreto legge 4/2019 ha introdotto una forma di riscatto innovativa dei periodi non coperti da contribuzione, disponibile fino al 2021 incluso, solo per coloro che non hanno contributi prima del 1996. Il requisito di «nuovo iscritto contributivo» dal gennaio 1996 richiesto dalla norma designa indirettamente una platea di soggetti che, seppur ancora lontani dalla pensione, decidono di ampliare la posizione contributiva.

Il riscatto può riguardare periodi non coperti da contributi o anche dal solo obbligo teorico di versarli (quindi dovuti e non pagati) compresi fra l’inizio della contribuzione (comunque dopo il 1995) e l’ultimo contributo versato entro il 29 gennaio 2019. L’onere da pagare per il riscatto di ogni anno in qualsiasi gestione Inps è quello ordinariamente previsto per i periodi di competenza del metodo di calcolo contributivo. L’assicurato applicherà quindi l’aliquota Ivs vigente (33-34%) all’ultimo imponibile previdenziale maturato prima della richiesta. L’onere potrà essere rateizzato in cinque anni a condizione che la singola rata mensile non sia inferiore a 30 euro.

Il legislatore ha inoltre accordato a tale riscatto un singolare vantaggio fiscale stabilendo, in luogo della piena deducibilità così come ordinariamente prevista dall’articolo 10, comma 1, lettera e) del Tuir, la detraibilità nella misura del 50% dell’onere sostenuto da ripartire in un arco di tempo quinquennale anche nel caso in cui il soggetto sostenga l’onere in unica soluzione. Tale detrazione rappresenta un indubbio vantaggio, considerando anche che, nel caso di redditi superiori a 75mila euro annui, il vantaggio che deriva dalla deducibilità non supera mai il 47% (considerando anche addizionali regionali e comunali).

Molto interessante è anche la facoltà di finanziare tale riscatto che sembra essere concessa ai datori di lavoro del settore privato. La norma prevede, infatti, che il riscatto possa essere sostenuto dai datori di lavoro destinando a tale fine i «premi di produzione» riconosciuti ai dipendenti. Tale versamento contributivo opzionale non aumenterà il reddito imponibile del dipendente; sarà da chiarire da parte dell’amministrazione finanziaria se eventuali quote residue a carico del dipendente seguiranno il regime di detraibilità di cui al comma 3 ovvero il criterio generale di non concorrenza al reddito richiamato al comma 4 dell’articolo 20 del Dl 4/2019.

L’utilizzo di «premi di produzione» ricorda quanto già previsto dalla legge 208/2015 in tema di premi di risultato, oggi destinati dai datori di lavoro ai dipendenti con una retribuzione lorda inferiore a 80mila euro nella misura massima di 3mila euro. Infatti, se previsto da accordo sindacale di secondo livello, e in presenza di un incremento di indici economici oggettivi rispetto a un periodo congruo stabilito, i premi di risultato, su richiesta del dipendente sono convertibili in iniziative di welfare (check up sanitario, viaggi, abbonamenti a palestre) tra le quali è prevista anche la stessa previdenza complementare.

La scelta di non richiamare il precedente impianto normativo, oggi vigente per i premi di risultato, e di consentire di destinare i «premi di produzione» alla pace contributiva, potrebbe dunque essere interpretabile come volontà di costituire una nuova forma di retribuzione non solo esente, ma anche sganciata da dialogo sindacale e da misurazione degli incrementi di risultato delle aziende.

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