Previdenza

Quota 103, l’opzione-rinuncia taglia l’assegno pensionistico

Chi matura i requisiti ma continua a lavorare può incassare la parte di contributi a suo carico invece di versarla all’Inps, ottenendo in questo modo uno stipendio più alto

di Fabio Venanzi

I lavoratori dipendenti, in possesso dei requisiti per accedere alla pensione anticipata flessibile (nota anche come quota 103) e che non esercitano il diritto di andare in pensione, possono rinunciare all’accredito dei contributi a proprio carico mensilmente dovuti all’Inps. Questa opzione, introdotta dall’articolo 1, comma 286, della legge 197/2022, non è ancora fruibile, in quanto il decreto attuativo non ha ancora ricevuto il via libera dalla Corte dei conti e Inps non ha di conseguenza pubblicato le istruzioni operative. Tuttavia il decreto interministeriale Lavoro-Economia è già stato firmato dai relativi ministri e consente di descrivere meccanismo di funzionamento ed effetti di questa agevolazione, denominata “incentivo al posticipo del pensionamento”. Nei calcoli che abbiamo elaborato abbiamo ipotizzato la fruizione dell’incentivo da aprile, cioè dalla prima decorrenza possibile di quota 103.

Va sottolineato che questa è una opzione, non un obbligo e quindi i lavoratori che quest’anno matureranno i requisiti di quota 103, possono compiere tre scelte:

- accedere al pensionamento anticipato;

-continuare a lavorare versando all’Inps tutti i contributi previsti;

-continuare a lavorare non versando la quota di contributi a loro carico e riceverla in busta paga.

Nel caso un lavoratore scelga questa terza soluzione, il datore di lavoro potrà erogare, direttamente in busta paga, la somma corrispondente ai contributi non versati. Tuttavia, tale scelta – una volta che l’Inps autorizzerà il datore di lavoro a corrispondere tale somma al dipendente e a non versarla nelle casse dell’istituto di previdenza – ha riflessi sia sulla busta paga dell’interessato sia sull’importo della pensione futura.

Infatti, se il lavoratore con i requisiti per quota 103 decide di proseguire l’attività e non rinuncia all’accredito dei contributi (e quindi continua a versare anche quelli a proprio carico), l’importo della pensione futura risulterà maggiore rispetto alla ipotesi in cui rinunciasse all’accredito.

Al contrario, qualora decidesse di avvalersi della rinuncia, l’importo mensile dello stipendio aumenterebbe per effetto dell’assenza del prelievo contributivo ai fini pensionistici, ma tale somma concorrerebbe a innalzare l’imponibile fiscale. Di conseguenza, l’effettivo aumento del “netto in busta” non sarebbe pari all’importo dei contributi non versati, ma risulterebbe influenzato dall’aumento del prelievo fiscale e, nell’anno successivo, aumenterebbero anche le addizionali. Infatti le addizionali regionali e comunali, calcolate sul reddito annuo, vengono rateizzate e trattenute nell’anno seguente.

L’aumento del netto della busta paga porta a una penalizzazione della pensione futura. Infatti, per effetto del mancato accredito dei contributi a carico del lavoratore sulla posizione assicurativa dell’interessato, il montante contributivo crescerà in misura inferiore rispetto al caso in cui non ci si avvalesse della “rinuncia”, ma sui redditi medio bassi, l’impatto può ritenersi contenuto.

A ciò deve aggiungersi che, qualora il lavoratore fruisca dello sgravio contributivo del 2%, previsto per il 2022 e 2023 per redditi fino a 2.692 euro lordi mensili, e innalzato al 3% per redditi fino a 1.923 euro lordi mensili per il solo 2023, l’impatto sarà più contenuto. Infatti, per espressa previsione normativa, lo sgravio – che consiste in un minor prelievo contributivo a carico del lavoratore – non ha effetti negativi ai fini pensionistici, essendo fatta salva la modalità di calcolo della prestazione. In pratica, la parte di sgravio, ancorché non versata, viene riconosciuta come utile ai fini pensionistici. Tuttavia, i lavoratori beneficiari dello sgravio che fruiranno della possibilità di rinuncia dei contributi a proprio carico (avendo maturato i requisiti per quota 103), avranno un aumento più contenuto della busta paga, in quanto i contributi “non trattenuti” saranno calcolati al netto dello sgravio riconosciuto: nel primo esempio che abbiamo elaborato, a fronte di 170,02 euro non versati, in busta paga ne arrivano 114,52.

Tutto ciò a legislazione vigente, ma il quadro potrebbe cambiare dato che l’annunciata riforma del fisco potrebbe incidere, ampliandolo, sullo sgravio.

Per i lavoratori che non fruiscono dello sgravio, l’aumento della busta paga può considerarsi più interessante, ma su un arco temporale medio (5 anni, come il secondo esempio in tabella), gli effetti sull’importo della pensione futura, non sono trascurabili.

Nel caso di variazione del datore di lavoro, l’Inps comunicherà al nuovo la scelta del dipendente di avvalersi dell’incentivo che verrà, di conseguenza, applicato direttamente, senza ulteriori adempimenti a carico del lavoratore.

La facoltà di non versare la contribuzione può essere esercitata una sola volta e il lavoratore può revocare tale scelta. In tal caso, dal primo giorno del mese successivo al momento di esercizio della revoca, riprenderanno le trattenute e i versamenti dei contributi a carico dell’interessato.

L’erogazione dei contributi in favore del lavoratore cesserà nel momento in cui l’interessato dovesse conseguire una pensione diretta, fatta eccezione per l’assegno ordinario di invalidità, oppure al conseguimento del requisito anagrafico, richiesto tempo per tempo, per l’accesso alla pensione di vecchiaia della gestione pensionistica di appartenenza.

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