Previdenza

Spesa assistenziale aumentata di 30 miliardi tra il 2019 e il 2021

Report di Itinerari previdenziali: le voci assistenziali volano a 144 miliardi, oltre un quarto dell’intero welfare. L’aumento delle pensioni minime a mille euro costerebbe 27 miliardi

di Marco Rogari e Mariolina Sesto

Oltre un quarto dei 517,7 miliardi assorbiti dal sistema di Welfare, pari al 52,5% dell’intera spesa pubblica, è risucchiato da voci, prestazioni e sussidi assistenziali. Che pesano sui conti pubblici, attingendo dalla fiscalità generale, per 144,215 miliardi (più del 25% del totale), con uscite lievitate di circa 30 miliardi tra il 2019, ultimo anno prima dell’era Covid, e il 2021 e quasi raddoppiate rispetto ai 73 miliardi registrati nel 2008. È sostanzialmente una Repubblica votata all’assistenza quella fotografata dal decimo rapporto sul bilancio del sistema previdenziale italiano curato dal Centro studi e ricerche “Itinerari previdenziali”, che è stato presentato in diretta streaming dalla sala stampa della Camera dei Deputati. Dal report emerge che nel 2021 la spesa pensionistica di natura previdenziale ha toccato i 238,2 miliardi. A 7 milioni di pensionati (il 44% dell’intero bacino dei 16 milioni di titolari di assegni pensionistici) sono destinate prestazioni assistenziali (di “previdenza”) per 25,9 miliardi, equivalenti a oltre il 10% della massa di spesa previdenziale: invalidità civile, indennità di accompagnamento, pensioni e assegni sociali, pensioni di guerra, integrazioni al minimo, maggiorazioni sociali e quattordicesima.

Nel report, aggiornato a tutto il 2021, si afferma che, al netto delle voci assistenziali, la spesa previdenziale si conferma sostenibile, anche se andrebbe posto un freno al continuo ricorso a canali di uscita anticipata, mentre l’assistenza si palesa come il vero tallone d’Achille di un sistema di Welfare sempre più generoso e vulnerabile. «Spendiamo molto, soprattutto in assistenza, e non sembra rispecchiare le reali condizioni socio-economiche del Paese un dato che vede quasi la metà dei pensionati italiani assistiti, del tutto o in parte dallo Stato» afferma il presidente del centro studi e ricerche “Itinerari previdenziali”, Alberto Brambilla. Che insiste sulla necessità di realizzare rapidamente una netta separazione della previdenza dall’assistenza, uno dei capitoli centrali del confronto tra governo e parti sociali sulla nuova riforma pensionistica al via oggi al ministero del Lavoro». E che sostiene che aumentare le pensioni basse a 1.000 euro al mese costerebbe 27 miliardi l’anno e porterebbe in pochi anni l’Inps al default. Ad affermare «a pagare praticamente da soli il Welfare di tutti sono soltanto 5 milioni di contribuenti (pensionati compresi) che dichiarano più di 35mila euro l’anno» è il presidente di Cida, Stefano Cuzzilla.

Nel dossier si sottolinea che occorre cambiare subito strada. Brambilla indica alcuni correttivi: «Occorre anzitutto agire su serie politiche attive e strumenti di incontro tra domanda e offerta di lavoro, abbandonando la strada delle decontribuzioni che non producono risultati». Ma il vero obiettivo da centrare resta quello di separare le voci pensionistiche da quelle assistenziali. Il presidente di Itinerari previdenziali fa notare che «c’è un tema di adeguata comunicazione con le istituzioni europee» visto che «dai dati forniti da Istat e Eurostat risulterebbe che l’Italia» ha una spesa per pensioni «molto alta rispetto alla media europea, generando l’erronea convinzione che il sistema vada riformato. Ma dalla riclassificazione della spesa operata nel rapporto scorporando la cosiddetta Gias (la gestione per gli interventi assistenziali cui fanno riferimento invalidità civili, indennità di accompagnamento, pensioni sociali e via dicendo) emerge che per il 2021 i 238,2 miliardi di spesa strettamente previdenziale scenderebbero di circa il 10% a 215 miliardi (23,2 miliardi in meno) abbassando di conseguenza l’incidenza delle uscite complessive per pensioni sul Pil (dal 14,1% al 12,7%).

«Come dimostra la riclassificazione operata dal nostro documento, il vero problema è la scelta dei governi italiani di allocare misure a sostegno delle famiglie o volte a contrastare l’esclusione sociale, a tutti gli effetti spese assistenziali, sotto il capitolo pensioni» afferma Brambilla. Il presidente di “Itinerari previdenziali” si sofferma su un preciso aspetto: mentre negli ultimi anni le prestazioni previdenziali sono state ridotte da riforme che hanno colto l’obiettivo di stabilizzare la spesa, «quelle assistenziali continuano ad aumentare anche per l’inefficienza della macchina organizzativa, a lungo priva di una banca dati dell’assistenza e di un’anagrafe centralizzata di lavoratori attivi, varate solo di recente dal governo Draghi, seppur previste da norme del 2004 e del 2015. Eppure, un monitoraggio efficace tra i diversi enti erogatori sarebbe essenziale per aiutare con servizi e strumenti adeguati solo chi ne ha davvero bisogno».

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