Stabilità, preavviso e non concorrenza: tre patti per fidelizzare i lavoratori
Le aziende possono prevedere penalità in caso di recesso unilaterale di una delle due parti, creando così un incentivo alla stabilità del rapporto
Non solo misure economiche e organizzative. Per fidelizzare e trattenere i propri dipendenti le aziende possono far leva su anche alcuni strumenti giuridici di natura pattizia. Questi strumenti, differenti tra loro per requisiti e funzionamento, sono accomunati dal costituire mezzi difensivi di coercizione indiretta, con la finalità di rendere più gravoso per il lavoratore il recesso dal rapporto, così da disincentivare le dimissioni o, quanto meno, attenuarne gli effetti negativi per le aziende.
Il patto di stabilità
Un primo strumento è il cosiddetto patto di stabilità, ossia un accordo che limita la facoltà di una o entrambe le parti di recedere unilateralmente dal contratto prima di un determinato periodo di tempo, salvo giusta causa.
Tale accordo è legittimo se il vincolo di stabilità è contenuto entro un limite temporale determinato e ragionevole e prevede a beneficio del lavoratore un onere a carico del datore, che può consistere nella reciprocità dell’impegno di stabilità (quindi nell’impegno a non licenziare il dipendente per un determinato periodo, salvo giusta causa) o in un corrispettivo economico. Se il lavoratore viola tale obbligo, il datore può ottenere il pagamento di una penale, oltre all’eventuale risarcimento del danno ulteriore.
Il patto di non concorrenza
Un secondo strumento è il patto di non concorrenza, ossia un accordo con cui il lavoratore si obbliga per un determinato periodo successivo alla cessazione del rapporto (non superiore a cinque anni per i dirigenti e a tre anni per gli altri lavoratori) a non prestare attività in concorrenza con l’ex datore di lavoro. A pena di nullità, questo accordo richiede la forma scritta e deve prevedere precisi limiti di oggetto e territorio, nonché un corrispettivo economico in favore del lavoratore, congruo e proporzionato al sacrificio complessivamente richiesto.
In caso di violazione, il datore può agire in giudizio per far dichiarare la risoluzione del patto per inadempimento e ottenere un risarcimento del danno, oppure per chiedere il rispetto dell’obbligo di non concorrenza da parte del lavoratore, eventualmente anche in via d’urgenza.
Preavviso più lungo
Un ulteriore strumento è rappresentato dal patto con il quale viene prolungato il periodo di preavviso in caso di dimissioni in misura superiore a quanto previsto dal contratto collettivo applicabile. Tale accordo, oltre a rendere maggiormente gravose le dimissioni, ha il pregio di garantire al datore un periodo più ampio di quello ordinario per adottare le misure necessarie a far fronte al recesso del lavoratore.
A pena di nullità, tale accordo deve essere concluso in forma scritta, prevedere una estensione del preavviso ragionevole e non eccessivamente gravosa, nonché porre a carico del datore un beneficio per il lavoratore, che può consistere nella reciprocità dell’impegno (quindi in un contestuale aumento del periodo di preavviso in caso di licenziamento) o in un corrispettivo economico.
Contratti a termine
Da ultimo, un’altra ipotesi percorribile potrebbe essere quella di inserire nel contratto a termine una clausola penale che sanzioni l’ipotesi di recesso unilaterale del lavoratore prima della scadenza del contratto. È noto che tale contratto non può essere risolto prima della scadenza da nessuna delle parti, salvo giusta causa.
In caso contrario, la parte recedente mette in atto un inadempimento contrattuale. Se tale inadempimento è messo in atto dal datore, al lavoratore spetta automaticamente il diritto a un risarcimento pari alle retribuzioni che avrebbe maturato dalla data di recesso alla scadenza del contratto.
Se, invece, a essere inadempiente è il lavoratore, il datore può ottenere un risarcimento solo se dimostra in giudizio un danno patito, con onere della prova a proprio carico. Questo gravoso onere probatorio può essere evitato, se il contratto prevede una penale in caso di recesso ante tempus del lavoratore, posto che la stessa opera automaticamente e non richiede la prova di alcun danno, fatta salva la possibilità che venga eventualmente ridotta in giudizio, qualora sia ritenuta sproporzionata.