Previdenza

Su pensioni e «Reddito» ora si riapre la partita

di Marco Rogari

Il confronto nella maggioranza sulla composizione della prossima legge di bilancio non è ancora entrato nel vivo. Al varo della manovra manca ancora un mese e mezzo e palazzo Chigi aveva messo a primi posti dell’agenda di settembre altre priorità: dal prolungamento del green pass e dal varo delle riforme collegate al Pnrr che erano state congelate a luglio (ammortizzatori e concorrenza) fino alla ricerca di un non semplice compromesso sulle misure anti-delocalizzazione. Ma almeno su due versanti delicati, come quelli del dopo Quota 100 e del Reddito di cittadinanza, già nelle prossime ore lo scenario potrebbe rivelarsi, almeno in parte, diverso da quello ipotizzato nelle scorse settimane soprattutto a via XX settembre. Anche perché la Lega preme escludendo con forza un ritorno integrale alla “Fornero”. E il Carroccio, dopo aver dovuto digerire le dimissioni forzate da sottosegretario all’Economia di Claudio Durigon e avendo registrato la scontata “blindatura” di fatto del ministro dell’Interno Lamorgese, da tempo nel mirino di Matteo Salvini, punta ora ad incassare qualcuna delle modifiche invocate per la previdenza e per la misura bandiera dei Cinque Stelle.

Soprattutto la partita sulle pensioni sembra destinata a riaprirsi. Anche se per il Mef, e non solo, restano alcuni paletti molto rigidi: nessuna riproposizione di Quote, nessun intervento dai costi non sostenibili con i vincoli di finanza pubblica e con la necessità di mantenere sotto controllo la spesa pensionistica, e nessun ”disconoscimento” della riforma Fornero. No alla Quota 41 invocata a gran voce dalla Lega, dunque, e no ai pensionamenti a 62 anni ventilati dai sindacati.

Ma l’idea di partenza di limitare il dopo Quota 100 a una proroga dell’Ape sociale in versione estesa ad altre categorie di lavoratori impegnati in attività gravose, accompagnata da qualche altro intervento soft, potrebbe essere accantonata per evitare frizioni eccessive con il Carroccio, e anche per venire incontro alle richieste di una maggiore flessibilità in uscita dei sindacati e di altre forze della maggioranza, come M5S, Leu e lo stesso Pd.

Forse anche per questo motivo stanno rispuntando due opzioni già transitate sul tavolo-previdenza. La prima è quella che consentirebbe anche i lavoratori nel sistema misto (con una parte “retributiva” oltre a quella “contributiva”) di uscire a 64 anni ma con il calcolo dell’assegno esclusivamente sui contributi versati, così come i “contributivi” puri, ai quali questo canale è garantito (con almeno 20 anni di versamenti) proprio dalla riforma Fornero. La seconda ipotesi è quella formulata dal presidente dell’Inps, Pasquale Tridico: possibilità di anticipo a 63 anni della sola quota contributiva dell’assegno, con l’erogazione di quella ”retributiva” al raggiungimento di 67 anni. L’asticella potrebbe anche essere alzata a 64 anni. Entrambe le opzioni non avrebbero costi proibitivi e, forse, non allarmerebbero più di tanto la Ue. Una “concessione” sulle pensioni potrebbe rendere più semplice un compromesso sul Reddito di cittadinanza, difeso a spada tratta da Giuseppe Conte dagli attacchi di Salvini e di tutto il centrodestra. Mario Draghi ha già lasciato intendere di non voler bocciare la misura. Che andrà però riconfigurata. E se davvero sarà reso più facile l’accesso agli stranieri al sussidio (riducendo a 5 anni la soglia di residenza), non potrà non essere introdotto qualche correttivo per rendere meno “assistenziale” la fisionomia del Reddito di cittadinanza.

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