Previdenza

Stagionali penalizzati dalle regole della Naspi

di Alessandro Rota Porta

Tra le pieghe del decreto attuativo del Jobs act (Dlgs 22/2015) in materia di ammortizzatori sociali in caso di disoccupazione involontaria ci sono alcuni aspetti innovativi – rispetto al sistema regolatorio dell’Aspi – che saranno destinati ad avere un impatto non trascurabile. Se, apparentemente, il nuovo sussidio Naspi può sembrare più ricco, in alcuni casi rischierà di essere penalizzante.

Già uno dei requisiti introdotti dal Dlgs per accedere all’indennità, quello inerente alle 30 giornate di effettivo lavoro che il lavoratore deve possedere con riferimento ai 12 mesi precedenti la disoccupazione (unitamente a 13 settimane di contribuzione nei 4 anni precedenti) ha sollevato le prime perplessità degli operatori: il ministero è intervenuto con un comunicato (in attesa della circolare Inps) per spiegare come gli eventuali periodi «immediatamente» precedenti la perdita involontaria del lavoro, non coperti dalla contribuzione, non vadano considerati ai fini della determinazione dei requisiti menzionati. Si pensi, ad esempio, agli eventi di malattia senza integrazione da parte del datore di lavoro, o alla Cig con sospensione a zero ore.

Un altro aspetto da tenere in considerazione, sempre in virtù delle condizioni richieste per godere del sussidio, sarà la penalizzazione che si creerà nei confronti della categoria dei lavoratori stagionali: rispetto alla “vecchia” Aspi, le nuove regole precisano come non possano essere tenuti in considerazione i periodi contributivi già utilizzati per precedenti fruizioni del trattamento.

Si tratta di un aspetto che penalizzerà quei soggetti coinvolti in attività lavorative per brevi periodi dell’anno creando una distorsione evidente: la penalizzazione di quei lavoratori più “svantaggiati” che, al contrario, dovrebbero essere più tutelati; senza dimenticare che il quadro delle politiche attive deve ancora essere definito.

Altro capitolo di rilievo sarà quello che regola gli accrediti contributivi, ai fini pensionistici. In primo luogo, l’articolo 12 del Dlgs 22/2015 fissa un tetto massimo di retribuzione rispetto al quale calcolare i contributi figurativi, pari a 1,4 volte l’importo massimo mensile della Naspi (per il 2015, 1.820 euro); poi, è diverso il metodo di calcolo della contribuzione figurativa poiché le retribuzioni utili non sono conteggiate – per la determinazione della retribuzione pensionabile – se sono inferiori alla retribuzione media pensionabile.

Due connotazioni che imporranno una revisione delle logiche conciliative nei confronti dei lavoratori interessati da procedure di esodo individuale: il mix tra il sistema conciliativo previsto dal contratto a tutele crescenti e le nuove regole sulla Naspi potrebbe, peraltro, spingere ad adottare meccanismi incentivanti integrativi della Naspi stessa.

Infine, merita analizzare la fattispecie delle cessazioni del rapporto di lavoro conseguenti ai licenziamenti per ragioni disciplinari. In attesa che intervengano gli opportuni chiarimenti da parte dell’Inps, è possibile affermare come la tecnica normativa adottata dal legislatore nella stesura dell’articolo 2 del Dlgs 22 apra a una interpretazione che – se confermata – potrebbe avere effetti importanti in raffronto alle regole sull’Aspi.

Rispetto alla disciplina di quest’ultima, dove la lettura della norma aveva portato a estrapolare un principio di copertura “universale”, il Dlgs 22 adotta una logica inversa: conferma il presupposto dell’involontarietà della perdita del lavoro, ma non opera esclusioni specifiche e quindi la Naspi potrebbe non essere riconosciuta in caso di licenziamento per ragioni disciplinari.

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