Rapporti di lavoro

Contrattazione di prossimità e contratti a termine: i consulenti criticano l'interpretazione ministeriale

di Antonio Carlo Scacco

La risposta ad interpello 2 dicembre 2014, n. 30 del Ministero del lavoro, secondo cui la contrattazione di prossimità di cui all'articolo 8 del decreto legge 138/2011 non può totalmente derogare dai limiti quantitativi legali e/o contrattuali introdotti dal decreto legge 34/2014 per la stipula dei contratti a termine ma «esclusivamente prevederne una diversa modulazione», contrasta sia con la lettera del menzionato articolo 8, sia con la stessa direttiva 1999/70/CE che recepisce l'accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato. È quanto si legge nel parere della Fondazione Studi del Consulenti del lavoro 9 dicembre 2014, n. 6.
L'articolo 8, comma 2 consente a specifiche intese realizzate da contratti collettivi di lavoro sottoscritti a livello aziendale o territoriale da associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale ovvero dalle loro rappresentanze sindacali, di derogare a disposizioni di legge o della contrattazione collettiva nazionale in particolari materie, ivi inclusa (lettera c)) quella relativa ai «contratti a termine».
La deroga è possibile purché dette intese siano finalizzate al conseguimento di determinati obiettivi (ad esempio il perseguimento della maggiore occupazione, della qualità dei contratti di lavoro, l'adozione di forme di partecipazione dei lavoratori ecc.), e siano inoltre rispettose della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dalle normative comunitarie e dalle convenzioni internazionali sul lavoro. Proprio tali ultimi richiami contenuti nella norma, peraltro ultronei (la necessità del rispetto della Costituzione, ad esempio, è evidentemente scontata), ha indotto il Ministero ad escludere una derogabilità piena da parte della contrattazione di prossimità dei limiti quantitativi di fonte legale e/o contrattuale.
Nell'accordo quadro recepito dalla citata direttiva 1999/70/CE si legge, infatti, che «i contratti a tempo indeterminato sono e continueranno ad essere la forma comune dei rapporti di lavoro fra i datori di lavoro e i lavoratori« (formula pedissequamente recepita dall'articolo 1, comma 01, del Dlgs 368/2001).
Ciò, secondo la nota ministeriale, varrebbe ad escludere una totale eliminazione dei limiti quantitativi da parte della contrattazione di prossimità. Il parere della Fondazione critica tale interpretazione sotto molteplici profili: sul piano dell'opportunità economica, atteso che depotenzierebbe ulteriormente l'istituto del contratto di prossimità, riducendo la possibilità di stipulare contratti a tempo determinato e generando al contempo effetti negativi sul piano occupazionale; sul piano strettamente giuridico considerata la scarsa intelligenza (ed inapplicabilità) del concetto di «diversa modulazione», nonché la inconferenza del richiamo alla norma comunitaria.
Infatti, si legge nel parere dei consulenti, «la tutela del lavoro a tempo indeterminato è già garantita dal termine dei 36 mesi, di cui all'art. 1 del Dlgs 368/01, che circoscrive l'ambito temporale di utilizzabilità del contratto a tempo determinato nel contesto del rapporto lavorativo individuale».
A ciò si aggiunge che, dall'analisi della direttiva non si evince che i limiti quantitativi siano richiesti a tutela del contratto a tempo indeterminato.
La stessa “Clausola 8” del citato accordo quadro, fa salvo il diritto delle parti sociali di concludere al livello appropriato, ivi compreso quello europeo, accordi che “adattino e/o completino le disposizioni del presente accordo in modo da tenere conto delle esigenze specifiche delle parti sociali interessate”. Non va poi dimenticata la contrattazione territoriale ed aziendale ad oggi sottoscritta eventualmente in deroga, anche totale, dei limiti quantitativi legali e/o contrattuali previsti per la stipula dei contratti a termine. La interpretazione ministeriale la renderebbe immediatamente illegittima e, perciò stesso, sanzionabile ex tunc.

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