Rapporti di lavoro

Problemi? La fabbrica li risolve grazie a 12mila suggerimenti

di Cristina Casadei

«No problem? Big problem. Le organizzazioni che non hanno problemi, non è che non ne abbiano, semplicemente non ne vedono. E questo è un grosso problema». Arnaldo Camuffo, professore del dipartimento di Management e Tecnologia dell’Università Bocconi, ha implementato la lean organization alla Comer Industries di Reggiolo e spiega che «zero waste (scarto) è un concetto che riassume il rigore con cui viene affrontato qualsiasi processo, con una tensione continua verso il miglioramento». Un approccio palpabile, ancor di più nel giorno in cui è arrivato nell’azienda meccanica reggiana - che fa sistemi per la trasmissione di potenza per le macchine agricole, l’attrezzatura edile, la selvicoltura, l’eolico - Sadao Nomura, uno dei maggiori sensei (maestri) giapponesi, decano della Toyota.

Il caso

«Dovete mettere l’operatore nelle condizioni di lavorare bene». Nel raccontare il punto di partenza - che poi è anche il punto di arrivo - della visione del lavoro secondo il metodo lean, Sadao Nomura non fa concessioni agli ingegneri della Comer che lo circondano per trovare una soluzione al “caso” di una scatola a ingranaggi, in cui, meno di un paio di millimetri, in più o in meno, in una guarnizione metallica possono generare grandi difficoltà agli operai nella lavorazione. E un potenziale difetto nel funzionamento del meccanismo. Generando scarto, perché un’azienda come la Comer non farà mai partire da Reggiolo un pezzo che possa generare un malfunzionamento di macchine che vanno in tutto il mondo dagli Stati Uniti alla Cina, alla Francia alla Germania, all’India, al Brasile. L’export della società guidata da Matteo Storchi (presidente e amministratore delegato) supera l’80% e il faro è costantemente zero waste.

Lo standard

Il sensei giapponese ricorda che «esiste uno standard, l’azienda deve trasferirlo all’operatore attraverso il training. Se l’operatore non lavora bene significa che lo standard non è stato seguito. Ma la responsabilità non è solo dell’operatore. In azienda ci sono ruoli diversi: ci sono i manager che scelgono di fare i manager, i progettisti che scelgono di fare i progettisti, gli operai che scelgono di fare gli operai. Ogni ruolo prevede compiti precisi che devono essere svolti con rigore, altrimenti il risultato è la confusione. E nell’individuazione delle responsabilità il meccanismo deve andare dall’alto al basso. La responsabilità cresce verso l’alto, non verso il basso».

Zero waste

La piccola figura di Sadao Nomura invita tutti, proprio tutti, a ripensare al processo che ha portato al risultato della scatola per ingranaggi da cui è partita la giornata. Il botta e risposta nasce intorno al lavoro di uno dei siti produttivi di Reggiolo da cui escono almeno 5mila pezzi al giorno (ossia 120mila pezzi al mese) e riguarda uno scarto che raggiunge mediamente 10 pezzi al mese. Nelle parole di Nomura si capisce bene che la questione non sono i 10 pezzi di scarto - che danno semmai l’idea di efficienza e precisione - , ma il rigore con cui ogni passaggio viene affrontato nella vita dell’azienda alla ricerca del miglioramento continuo.

La legge di Darwin per le imprese

La lean organization è proprio questo e Matteo Storchi, arrivato alla guida del gruppo due anni fa, succedendo allo zio Fabio che lo ha fondato insieme ai fratelli Fabrizio e Oscar negli anni ’70, vi si riconosce pienamente, al punto da aver voluto implementare la metodologia a tutta l’organizzazione, tute blu, colletti bianchi e manager, con lo spirito di migliorare le persone, i processi e i risultati. «Ogni giorno le aziende lottano per la sopravvivenza, in un contesto internazionale di forte competizione: ogni giorno cambia qualcosa e ogni giorno noi siamo costretti ad adattare piani e prospettive. La legge di Darwin prevede che o cresci e sei competitivo e mangi gli altri o vieni mangiato. Per questo ogni giorno dobbiamo migliorare e dobbiamo farlo a tutti i livelli aziendali, trascinando tutta l’organizzazione. E la lean è la metodologia che ci consente di avanzare tutti insieme». I clienti di cui Comer è fornitrice sono i grandi player internazionali del mercato delle macchine agricole (da Cnh a Caterpillar) e dell’eolico che a loro volta sono molto selettivi e hanno standard qualitativi elevati. La lotta darwiniana di Reggiolo si basa su tre parole: «Il commitment con cui dobbiamo cercare di portare a bordo più persone possibile, l’improvement con cui ognuno deve cercare di migliorare e portare valore e la performance perché tutto deve essere misurabile», dice l’imprenditore.

La centralità dell’operatore

Lungo le linee della Comer si respira, anche in senso letterale, un pezzo di storia della meccanica di precisione. Fatta anche, in una certa misura, a mano. Il gruppo che nel 2018 ha fatturato oltre 379 milioni di euro, in crescita del 10,8%, con un Ebitda di 38,4 milioni, ha quasi 2mila dipendenti (1.500 in Italia, gli altri all’estero). «Quando si parla di automazione e intelligenza artificiale si parla soprattutto di automotive. Sa qual è la differenza tra un’azienda come Comer e una di automotive? I requisiti per stare sul mercato sono gli stessi ma noi abbiamo meno possibilità di automazione perché l’operatore deve fare ancora molta attività manuale, quindi noi dobbiamo garantire le stesse performance coinvolgendo di più la persona che per noi ha un ruolo centrale».

La linea con le training room

Nel nuovo stabilimento di Reggiolo, costruito dopo il terremoto, c’è il massimo grado di automazione che il prodotto della Comer consente di raggiungere. Lungo le linee di produzione si aprono le training room, isole dedicate dove gli operatori fanno la formazione su lavorazioni e processi: «Prima di toccare un componente, ogni nostro collaboratore viene formato. Ogni anno facciamo oltre 30mila ore di formazione nell’academy e nelle training room», spiega Storchi. E la linea viene adattata alle persone. «La nostra selezione avviene in base alle competenze ma non in base a genere e fisico: questo ci costringe ad avere linee adattabili per altezza, corporatura e forza fisica, per far sì che l’operatore possa lavorare nella maniera più confortevole».

Gli 8 suggerimenti

E poi ci sono le attitudini e gli atteggiamenti, le cosiddette soft skills che rappresentano il vero fattore critico nei processi di selezione. «Nella nostra organizzazione il miglioramento avviene attraverso un flusso continuo di informazioni in cui sono direttamente coinvolti anche gli operatori. Ognuno ha il compito di dare almeno 8 suggerimenti all’anno, per migliorare l’attività all’interno dello stabilimento - dice Storchi -. Questo significa che, come minimo, noi riceviamo ogni anno 12mila suggerimenti, a ognuno dei quali i responsabili devono dare un feedback». Il risultato di questa macchina è un miglioramento continuo del lavoro di tutti che «in tre anni ha portato a una riduzione degli overhead, i cosiddetti costi indiretti, del 30%», afferma l’imprenditore. In questa organizzazione c’è uno spazio piuttosto confinato per l’intelligenza artificiale e la robotica che «nella nostra azienda non può scalzare le persone - assicura Storchi -. Può aiutare tutti a fare meglio, ma le scelte qui le fanno gli individui. La tecnologia è qualcosa che abilita: io non ho mai ricevuto un’idea per il solo fatto di avere acceso il mio laptop».

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