Rapporti di lavoro

Le conversazioni skype del dipendente sono off limits per il datore di lavoro

di Rossella Schiavone

Il contenuto di comunicazioni di tipo elettronico e/o telematico scambiate dal dipendente nell'ambito del rapporto di lavoro sono assistite da garanzie di segretezza tutelate anche a livello costituzionale.

Questo è quanto emerge dal provvedimento 345 del 4 giugno 2015 citato nella newsletter 28 settembre 2015, numero 406 del Garante per la protezione dei dati personali il cui intervento è stato richiesto a seguito di un licenziamento intimato a una lavoratrice perché i dati riportati nella lettera di contestazione disciplinare e in quella di licenziamento erano stati acquisiti illegittimamente dal datore di lavoro.

Nello specifico, la dipendente aveva utilizzato, con un profilo personale, il software Skype installato sul computer assegnatole in dotazione per lo svolgimento delle proprie mansioni, per conversare con clienti/fornitori stranieri della società. Tuttavia l'azienda era venuta casualmente a conoscenza del contenuto delle suddette conversazioni - lesive della reputazione dell'azienda stessa nonché del suo rappresentante legale - allorquando la prestatrice di lavoro si era allontanata dal luogo di lavoro, per iniziare un periodo di ferie, lasciando acceso il proprio pc portatile con il monitor in funzione e con l'icona di Skype ancora attiva con una serie di conversazioni in atto.

La lavoratrice aveva poi continuato da casa le suddette conversazioni Skype con lo stesso account personale e quello che scriveva dal suo pc personale veniva contemporaneamente visualizzato sullo schermo del computer aziendale e, simultaneamente, letto dal legale rappresentante e dall'amministratore di sistema, grazie a un programma installato sul computer che consentiva la visualizzazione delle conversazioni temporaneamente transitate sul pc aziendale. Le conversazioni in questione erano poi state stampate dal datore di lavoro e quelle in lingua straniera erano anche state fatte tradurre.

In merito il Garante ha chiarito che, pur spettando al datore di lavoro la definizione delle modalità di corretto utilizzo degli strumenti di lavoro, occorre comunque, nell'esercizio di tale prerogativa, rispettare la libertà e la dignità dei lavoratori, nonché i principi di correttezza, di pertinenza e non eccedenza indicati dall'articolo 11, comma 1 del codice per la privacy.

Nel caso di specie è palese che sono state trattate informazioni personali, anche non pertinenti, nonché dati di carattere sensibile, atteso che i dati raccolti hanno riguardato comunicazioni telematiche in parte avvenute anche al di fuori dell'ambito lavorativo quando la lavoratrice, in ferie, si trovava già presso il proprio domicilio privato.

A tal proposito il Garante, con il provvedimento 345/2015, ha ricordato che, come espressamente enunciato anche nelle «Linee guida del Garante per posta elettronica e Internet», il contenuto di comunicazioni di tipo elettronico e/o telematico scambiate dal dipendente nell'ambito del rapporto di lavoro sono assistite da garanzie di segretezza tutelate anche a livello costituzionale «la cui ratio risiede nel proteggere il nucleo essenziale della dignità umana e il pieno sviluppo della personalità nelle formazioni sociali».

Quindi, si legge nel provvedimento, «l'eventuale trattamento dei dati riferiti a comunicazioni di posta elettronica o assimilabili, inviate e ricevute dal dipendente nello svolgimento dell'attività lavorativa, deve essere garantito da un elevato livello di tutela atto ad impedire, in un'ottica di bilanciamento con i contrapposti interessi del datore di lavoro e in attuazione dei principi di necessità, correttezza, pertinenza e non eccedenza».

L'utilizzo di un programma installato dal datore di lavoro sul computer dei prestatori di lavoro, idoneo a visualizzare sia le conversazioni Skype effettuate in azienda che quelle al di fuori del luogo di lavoro tra i lavoratori e soggetti terzi attraverso un computer collocato presso l'abitazione dei lavoratori stessi, rappresenta un'interferenza ingiustificata sui diritti e sulle libertà fondamentali dei dipendenti e dei soggetti esterni all'azienda, che ricevono o inviano comunicazioni elettroniche di natura personale o privata.

Una tale procedura, secondo il Garante, oltre ad essere in contrasto con le citate “Linee guida”, è contraria alle disposizioni poste dall'ordinamento a tutela della segretezza delle comunicazioni, nonché, nel caso specifico, anche con la policy aziendale approvata, perfino, dalla competente direzione territoriale del Lavoro.

Stante quanto sopra, nel caso trattato, il Garante ha ordinato al datore di lavoro di non effettuare alcun ulteriore trattamento dei dati personali relativi alle conversazioni Skype in questione, ottenute in modo illecito, invitandolo a conservare quelli già raccolti ai fini di un'eventuale acquisizione da parte dell'autorità giudiziaria.

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