Contenzioso

Sui licenziamenti collettivi del Jobs act, la Consulta si allinea alla Cgue

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di Vittorio De Luca e Antonella Iacobellis

Con la sentenza 254 del 26 novembre 2020, la Corte costituzionale ribadisce la leale collaborazione con la Corte di giustizia europea e dichiara inammissibile le questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla Corte d'appello di Napoli sulle disposizioni del Jobs act relative ai licenziamenti collettivi intimati in violazione dei criteri di scelta.

Nella motivazione della sentenza 254/2020 della Corte costituzionale si legge, infatti, quanto segue: «vi è un legame inscindibile tra il ruolo della Corte di giustizia dell'Unione europea, chiamata a salvaguardare il rispetto del diritto nell'interpretazione e nell'applicazione dei trattati» e il ruolo di tutti i giudici nazionali, depositari del compito di garantire «una tutela giurisdizionale effettiva nei settori disciplinati dal diritto dell'Unione» (articolo 19 del trattato). In un sistema integrato di garanzie, riveste un ruolo essenziale la leale e costruttiva collaborazione tra le diverse giurisdizioni, chiamate – ciascuna per la propria parte – a salvaguardare i diritti fondamentali nella prospettiva di una tutela sistemica e non frazionata».

Le questioni di legittimità sollevate e la decisione della Corte europea
Prima di entrare nel merito della decisione della Corte costituzionale, si precisa che, riguardo alla violazione delle norme della Carta di Nizza, la Corte di Appello di Napoli aveva ha ritenuto di proporre contemporaneamente rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell'Unione europea, allo scopo di chiarire il «contenuto della Carta dei Diritti fondamentali», per assumere poi «una diretta rilevanza nel giudizio di costituzionalità»
e un incidente di costituzionalità.
Si è pronunciata per prima la Corte di giustizia che, con ordinanza del 4 giugno 2020, ha dichiarato manifestamente irricevibili le questioni proposte sostenendo l'assenza «di un collegamento tra un atto di diritto dell'Unione e la misura nazionale in questione», collegamento richiesto dall'articolo 51, paragrafo 1, della Carta di Nizza. Esso non si identifica nella mera affinità tra le materie prese in esame e nell'indiretta influenza che una materia esercita sull'altra».
In altre parole, la Corte di Lussemburgo non ha rinvenuto alcun collegamento fra la disciplina nazionale inerente ai criteri di scelta nell'ambito dei licenziamenti collettivi e un atto di diritto dell'Unione, non potendo, pertanto, assumere alcuna posizione sull'asserita violazione della stessa Carta.

La decisione della Corte costituzionale
La Corte costituzionale ha ribadito la consonanza con le indicazioni della Corte di giustizia circa l'ambito di applicazione del diritto Ue e che vi è un legame inscindibile tra il ruolo della Corte Ue e il ruolo di tutti i giudici nazionali.
Nel dettaglio, la violazione dei criteri di scelta dei lavoratori da licenziare, così come le modalità adottate dal datore di lavoro nel dar seguito ai licenziamenti, sono materie che, nella ricostruzione fornita dalla Corte del Lussemburgo, non si collegano con gli obblighi di notifica e di consultazione derivanti dalla direttiva 98/59/ Ce.

La direttiva, precisa la Corte costituzionale, istituisce «una procedura di consultazione dei rappresentanti dei lavoratori e di informazione dell'autorità pubblica competente, al fine di limitare il ricorso a riduzioni del personale e attenuarne le conseguenze mediante misure sociali di accompagnamento intese in particolare a facilitare la riqualificazione e la riconversione dei lavoratori licenziati» (Corte di giustizia, ordinanza 4 giugno 2020, punto 30). Questa fonte di diritto secondario ha dato luogo, per la natura procedurale delle disposizioni ora richiamate, a una «armonizzazione parziale», che tuttavia «non si propone di realizzare un meccanismo di compensazione economica generale a livello dell'Unione in caso di perdita del posto di lavoro né armonizza le modalità della cessazione definitiva delle attività di un'impresa». Tali materie, quindi, restano, in quanto tali, affidate alla competenza dello Stato membro italiano, non rientrando nell'ambito di applicazione del diritto dell'Unione.

Se ciò non bastasse, si consideri che la Corte d'appello di Napoli ha trascurato di descrivere la fattispecie concreta e di allegare elementi idonei a corroborare l'accoglimento dell'impugnazione in virtù di una violazione dei criteri di scelta, già esclusa dal giudice di primo grado. Nessun dubbio, infatti, che l'applicazione della disciplina sanzionatoria, che il giudice napoletano rimettente ha sospettato di essere affetta da incostituzionalità, richiede la preventiva e necessaria individuazione dei vizi del licenziamento collettivo. Tali lacune nella descrizione della fattispecie concreta assieme alla precedente decisione della Corte del Lussemburgo hanno impedito alla Corte costituzionale di valutare la rilevanza delle questioni sollevate. Alla luce di tutto quanto sopra, ne è discesa la dichiarazione di inammissibilità da parte della Corte costituzionale.

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