L’impresa coltiva sempre più le competenze e si fa accademia
L e Academy aziendali, o Corporate University, vale a dire strutture dedicate alla formazione e alla gestione della conoscenza, oggi in Italia sono circa 160; sono localizzate principalmente nel Nord Italia - Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte (ma numeri significativi si registrano anche nel Lazio e in Campania)- e si stanno ramificando quasi in tutti i principali settori del Made in Italy, dall’industria manifatturiera (che la fa da padrone) al settore assicurativo bancario; dall’alimentare ai trasporti; dai servizi alla telefonia e comunicazione. Sono soprattutto le grandi imprese a dotarsi di proprie Academy.
Queste strutture, sono create per rispondere al bisogno di molte aziende di trovare le competenze specifiche che spesso sono difficili da reperire, e per rafforzare il collegamento tra mercato del lavoro e sistema formativo, colmando il mismatch tra domanda e offerta di lavoro. Sono iniziative che vengono da lontano, considerando che le prime esperienze di Corporate University si rintracciano negli anni venti del secolo scorso negli Stati Uniti, dove nel 1988 erano già state rilevate circa 400 strutture assimilabili ad una Corporate University; attualmente sono oltre 2mila.
Il numero delle Corporate University (o Academy aziendali, che dir si voglia, visto che non esiste una definizione univoca di queste realtà) è in continua crescita anche nel nostro Paese, forse per imitazione di esperienze straniere o forse perché le nostre imprese hanno maturato la consapevolezza che il patrimonio di conoscenza e il capitale intellettuale sono ormai diventati fattore prioritario per la competitività. Anche dal punto di vista delle attività svolte c’è stato un notevole sviluppo. «Se molte delle Corporate University che osservavamo dieci anni fa erano poco più che dei progetti ambiziosi - sottolinea Giuseppe Cappiello, professore di Economia e Gestione delle Imprese all’università di Bologna, tra i principali esperti del settore -, oggi quelle stesse sono realtà consolidate, con anche spazi fisici dedicati, un sistema evoluto di valutazione delle proprie attività e molti rapporti con le altre agenzie formative del territorio, dalle Business School ai Centri di ricerca, ai Competence Center, solo per fare degli esempi».
La caratteristica principale delle Corporate University attuali è quella di essere diventate un nodo significativo di una rete stabile in cui la conoscenza circola e si consolida sotto forma di capitale sociale. A livello aziendale, le Corporate University sono presenti soprattutto nelle medio grandi imprese. Ma non mancano casi di realtà di minori dimensioni. «Un esempio che recentemente mi ha colpito - aggiunge il professor Cappiello - è una neonata Academy in ambito sportivo. RBR Academy è una iniziativa che una squadra di Basket di Rimini ha avviato insieme al suo main sponsor (Riviera Banca) per condividere le proprie competenze con le altre organizzazioni sportive del territorio e con persone interessate ad avviare una carriera nello sport. Il successo che sta riscuotendo questa esperienza documenta che non è necessario operare in settori hi-tech o investire ingenti risorse finanziare. Il requisito principale è l’interesse a creare valore condiviso con gli altri stakeholder».
Rimandando alle storie raccontate in queste due pagine di Lavoro24 per vedere, più da vicino, attività e settori di interesse di alcune delle principali Academy italiane, un progetto d’avanguardia è quello che si sta sviluppando nel Gruppo Tecnico Capitale Umano e Formazione di Confindustria Servizi Innovativi e Tecnologici coordinato da Laura Deitinger. Si punta su un nuovo concetto di formazione, che, rimodulando la relazione tra “line” e funzione Hr, consente di misurare gli effetti degli interventi sul capitale umano attraverso l’analisi delle dimensioni comportamentali degli stakeholder finali. La metodologia è stata “messa a terra” in Assoknowledge (di cui Deitinger è presidente) da cinque colossi, Poste Italiane, Tim, Gruppo Hera, Eni ed Enel. I risultati sono positivi, e ora la sfida è di traslarla e adattarla alle Pmi. «L’innovazione metodologica - spiega Deitinger - consente all’azienda di valorizzare gli investimenti sul capitale umano sulla base degli effetti che generano anziché sul costo materiale che la stessa sostiene per realizzarli».
Il cambio di paradigma è stato lanciato dall’ultimo rapporto di Assoknowledge, presentato a palazzo Chigi a febbraio 2020. Le Academy e i dipartimenti Education delle aziende sono chiamati a un triplice salto in avanti, che sintetizza così il direttore di Assoknowledge, Alessandro Sciolari: «Ripensare il proprio ruolo rendendolo funzionale alle rinnovate esigenze competitive. Diventare strumentali alla realizzazione dei risultati di business, svolgendo una funzione di aiuto e supporto alle “line” dell’impresa nel perseguimento dei loro risultati. Concorrere alla produzione del valore aggiunto dell’impresa».
DURF necessario per la patente a crediti
di Manuela Baltolu
La nuova sanzione di omesso versamento per il sostituto dopo il Dlgs 87/2024
di Roberto Vinciarelli