Adempimenti

Cellulari aziendali, rimborsi ai dipendenti esenti da Irpef solo se analitici

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di Matteo Ferraris

I rimborsi forfettari al dipendente delle spese relative ai telefoni cellulari sono soggetti all'Irpef. E' quanto emerge dalla risoluzione 20 giugno 2017, n. 74/E dell'Agenzia delle Entrate con cui la leva fiscale stoppa un processo riorganizzativo di un grande gruppo afferente la disponibilità di "cellulari di servizio" al proprio personale, riorganizzazione che avrebbe potuto produrre un beneficio generale e funzionale con complessiva riduzione dei costi sostenuti dal datore di lavoro.
Lo strumento di rigidità – un principio - che ha determinato la risposta negativa al quesito posto dal contribuente è così declinabile: "le spese rimborsate al lavoratore in modo forfetario sono escluse dalla base imponibile solo nell'ipotesi in cui tale criterio forfetario sia stato previsto dal legislatore". Laddove, invece, il legislatore non abbia indicato tale criterio forfetario, i costi sostenuti dal dipendente nell'interesse del datore di lavoro, devono essere individuati sulla base di elementi oggettivi, documentalmente accertabili, al fine di evitare che il relativo rimborso concorra alla determinazione del reddito di lavoro dipendente.

Il caso
Il contribuente interpellante ha in essere una politica organizzativa fondata sull'uso esclusivo aziendale del telefono cellulare con ricorso a un duplice limite:
1)l'uso di un codice preliminare di rilevazione del traffico (solo) telefonico effettuato per ragioni non aziendali;
2)la limitazione dei servizi non telefonici (tipicamente di "traffico dati") del telefono aziendale.
L'intenzione dell'interpellante era teso a superare lo schema in uso che prevede l'impiego del telefono per finalità esclusivamente aziendali, allargandone l'uso anche a finalità diverse così da consentire al dipendente maggiore libertà e, soprattutto, la disponibilità di un solo strumento telefonico potendo fruire di tutte le potenzialità proprie di uno smartphone.
Per raggiungere lo scopo organizzativo, l'azienda nel quesito ipotizzava di rimborsare al dipendente i costi relativi all'uso aziendale del cellulare "personale" del lavoratore.
Si trattava di una inversione dello schema in cui i dipendenti possono:
1)disporre di un unico apparecchio telefonico avente tutte le funzionalità ritenute necessarie e utili sulla base delle specifiche esigenze, acquistato a proprie scelta e spese;
2)stipulare con il proprio gestore il contratto relativo al servizio di telefonia e traffico dati restando a proprio carico tutte le spese.
L'interpello intende verificare il corretto trattamento ai fini della tassazione del reddito di lavoro dipendente di cui all'art. 51, Tuir delle somme rimborsate dal datore di lavoro in relazione all'utilizzo del telefono per finalità aziendali.
L'effetto complessivo dell'operazione avrebbe consentito un risparmio per l'azienda.

La risposta dell'Agenzia
L'Agenzia delle Entrate ritiene che i rimborsi ai dipendenti "non analitici" sono assoggettati ad irpef (e, ovviamente, a contributi).
Dopo avere declinato il principio generale di onnicomprensività ("tutte le somme ed i valori in genere a qualunque titolo percepiti nel periodo d'imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro" costituiscono reddito imponibile per il dipendente), l'Agenzia chiarisce che le somme che il datore di lavoro corrisponde al lavoratore a titolo di rimborso spese, costituiscono reddito di lavoro dipendente, salvi due casi: quanto previsto, per le trasferte e i trasferimenti ed ogni onere di tipo "pre-reddituale" vale a dire le fattispecie risarcitorie che riguardano "spese di competenza del datore di lavoro anticipate dal dipendente per snellezza operativa", come evidenziato nella circolare n. 326/E/97.
Il limite imposto dalla norma e richiamato dalla risoluzione evoca immediatamente un punto definito (e ormai consolidato) in relazione al "telelavoro". Con la risoluzione n. 357/E/2007, infatti, cui vennero esclusi dall'imposizione anche "le somme erogate per rimborsare i costi dei collegamenti telefonici non siano da assoggettare a tassazione essendo sostenute dal telelavoratore per raggiungere le risorse informatiche dell'azienda messe a disposizione dal datore di lavoro e quindi poter espletare l'attività lavorativa", fondato sul rimborso documentato dei costi.
Il focus che emerge dalla risoluzione è, dunque, spostato sull'analiticità del rimborso (che implica evidentemente maggiori oneri di compliance e, probabilmente, maggiori oneri complessivi di gestione). La risoluzione non respinge, dunque, in radice la modalità organizzativa proposta ma respinge la forfettizzazione non regolata e, quindi, non supportata da un processo normativo ma astrattamente definita.
Ed il principio affermato appare coerente: al fine di evitare che il relativo rimborso concorra alla determinazione del reddito di lavoro dipendente, i costi sostenuti dal dipendente nell'esclusivo interesse del datore di lavoro, devono essere individuati sulla base di elementi oggettivi, documentalmente accertabili.
Un ulteriore aspetto che ha deposto a sfavore della proposta è stata la sua generalizzazione alla totalità dei dipendenti e non solo i soggetti addetti a specifiche mansioni. Ciò emerge dalla parte di risoluzione in cui non si condivide una pronuncia della Corte di Cassazione (sentenza n. 10367/2004), che ha riconosciuto la non imponibilità a un caso del tutto analogo che interessava il rimborso erogato dall'ENEL ai propri dipendenti per l'intera spesa da questi ultimi sostenuta per il canone telefonico, "in ragione delle peculiarità della prestazione lavorativa caratterizzata dall'obbligo di reperibilità".

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