Previdenza

Un sostegno in più dai fondi bilaterali

di Giampiero Falasca

La gestione delle crisi aziendali, nonostante i ripetuti interventi normativi succedutisi in materia di politiche attive e passive del lavoro, è ancora un nervo scoperto del nostro ordinamento.

Un’impresa che oggi dichiara uno stato di crisi e, di conseguenza, un numero rilevante di esuberi, ha di fronte poche alternative, tutte molto costose e poco efficienti (anche per i lavoratori), per uscirne.

Lo strumento classico che viene utilizzato per gestire la crisi aziendale è l’incentivazione all’esodo: sul tavolo sindacale le parti concordano un pacchetto economico da offrire a chi accetta il licenziamento senza avviare il contenzioso, e i singoli lavoratori decidono se aderire oppure no. Questo sistema non funziona quando l’impresa non è in condizione di mettere sul piatto un incentivo adeguato e, di conseguenza, non riesce a convincere le altre parti coinvolte (il sindacato e i lavoratori) ad accettare volontariamente l’uscita. Se fallisce il negoziato, alle parti non resta che tentare di utilizzare gli ammortizzatori sociali (compresa la rediviva cassa integrazione per chiusura aziendale, strumento molto controverso), strada sempre complessa in quanto ciascuna misura ha requisiti specifici che devono essere soddisfatti.

In questo contesto, sarebbe utile e auspicabile la diffusione di fondi bilaterali chiamati a intervenire nelle crisi aziendali (modello già sperimentato con successo in alcuni settori), in quanto le parti potrebbe avere un sostegno aggiuntivo per la gestione consensuale della crisi.

Questi fondi dovrebbero, tuttavia, agire con una prospettiva moderna, non limitandosi a mettere risorse economiche per finanziare i piani di incentivazione all’esodo, ma costruendo anche percorsi di politica attiva del lavoro. Una prospettiva indispensabile per rendere selettivo ed efficace un intervento di questa natura.

Qualcuno potrebbe ricordare che una logica del genere era sottesa anche all’idea di consentire l’utilizzo dell’assegno di ricollocazione nell’ambito delle crisi di impresa. È vero, ma quell’esperienza deve essere tenuta a mente soprattutto come esempio degli errori che non devono essere compiuti per far naufragare una buona idea.

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