Contrattazione

La forma scritta nel contratto a tempo determinato

di Alberto Bosco

Come si evince dalla lettura della norma (art. 19, co. 4, d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81 nel testo oggi vigente), salvo pochissime eccezioni, “l'apposizione del termine al contratto è priva di effetto se non risulta (è stato eliminato l'inciso “direttamente o indirettamente”), da atto scritto, una copia del quale deve essere consegnata dal datore di lavoro al lavoratore entro cinque giorni lavorativi dall'inizio della prestazione”.

Nel regime previgente al decreto legge 12 luglio 2018, n. 87, pur essendo venuto meno l'obbligo di indicare le causali di assunzione, va ricordato che il Ministero del lavoro, nella circolare 30 luglio 2014, n. 18, aveva precisato che la sussistenza di specifiche ragioni giustificatrici continuava tuttavia, anche nel nuovo quadro normativo, a sortire alcuni effetti.

Ad esempio ciò avveniva (e ciò vale ancora oggi) quando il lavoratore era assunto a tempo determinato “per ragioni di carattere sostitutivo, o di stagionalità”; in tali ipotesi, infatti, l'assunzione è esente dalle limitazioni quantitative e il datore di lavoro non è tenuto, ai sensi dell'articolo 2, comma 29, della legge 28 giugno 2012, n. 92, al versamento del contributo addizionale dell'1,4%: in tali ipotesi era pertanto opportuno, ai soli fini di “trasparenza”, che i datori di lavoro continuassero a far risultare nell'atto scritto la ragione che aveva condotto alla stipula del contratto a tempo determinato.

Indicazione delle causali
Come anticipato sopra, il nuovo regime introdotto a decorrere dal 14 luglio 2018 prevede l'obbligatoria indicazione della “causale” nelle seguenti ipotesi:
a) contratto stipulato per una durata superiore a 12 mesi, fino a una durata complessiva non superiore a 24 mesi, pena la trasformazione in un “ordinario” contratto a tempo indeterminato dalla data di superamento del termine di 12 mesi;
b) contratto cd. “in deroga” presso l'Ispettorato Nazionale del Lavoro, per un massimo di altri 12 mesi;
c) ogni singolo “rinnovo”, ossia la seconda, terza, quarta (eccetera) assunzione a tempo determinato del medesimo lavoratore da parte dello stesso datore di lavoro: in caso di violazione dell'obbligo di indicare la “causale”, il contratto si trasforma a tempo indeterminato (con l'eccezione dei contratti “stagionali”);
d) proroga dello stesso rapporto quando il termine complessivo eccede i 12 mesi: in caso di violazione dell'obbligo di indicare la “causale”, il contratto si trasforma a tempo indeterminato (con l'eccezione dei contratti “stagionali”).
Le “causali” che consentono l'apposizione del termine – ben diverse e assai più stringenti rispetto alle “ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo” previste in passato – sono individuate direttamente dalla norma, e sono le seguenti:
a) esigenze temporanee e oggettive, estranee all'ordinaria attività;
b) esigenze di sostituzione di altri lavoratori;
b) esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell'attività ordinaria.
Come è facile intuire, si tratta di un notevole (e potenzialmente assai “doloroso”, nel senso della possibile conversione del contratto) restringimento della libertà contrattuale delle parti (con particolare riferimento a quella del datore di lavoro), posto che, per esempio, un conto è dover allegare un'esigenza di carattere (meramente) produttivo, altro è dimostrare che essa è connessa a “incrementi temporanei, significativi e non programmabili” dell'attività ordinaria.
In ogni caso la formulazione della norma sulle causali è talmente generica (ad eccezione di quelle per sostituzione) che, in caso di contenzioso, i margini di valutazione del giudice sono assai estesi. La norma non definisce precisi limiti o criteri per definire le “esigenze temporanee e oggettive” e ancora meno spiega in cosa consista “l'attività ordinaria”. La situazione è identica per le “esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili”. Quanto deve essere “significativo e non programmabile” un incremento per essere in linea con quanto richiede la norma? Si tratta di termini che sono anche familiari alle aziende, ma talmente incerti da renderli inutilizzabili sul piano giuridico.
A supporto di quanto appena sopra, vale la pena di evidenziare che, con riguardo al regime previgente rispetto al decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, in cui le causali erano richieste, la giurisprudenza (cfr. ad esempio Trib. Venezia, sentenza 6 febbraio 2007, n. 121), era solita affermare che “l'inefficacia del contratto a tempo determinato stabilita dalla legge, non attiene esclusivamente all'omissione dell'apposizione del termine che, inequivocabilmente, deve risultare ad substantiam da atto scritto, ma anche dall'omessa specificazione, sempre per iscritto, delle ragioni di cui all'articolo 1, comma 1, del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368. Ed infatti, posto che l'indicazione dei motivi che legittimano l'apposizione del termine deve consentire il controllo di legittimità sulla ragionevolezza delle scelte aziendali, il datore di lavoro non può, né addirittura omettere l'indicazione delle ragioni tecnico-organizzative o sostitutive che stanno alla base del contratto, né limitarsi ad indicarle mediante una tautologica ripetizione del dettato di legge. La necessità di una specificazione, finalizzata alla verifica, richiede dunque l'espresso riferimento per iscritto alle concrete esigenze aziendali che hanno determinato l'assunzione”.
Va da sé che la causale “per sostituzione” non comporta particolari problemi, essendo normalmente semplice da allegare e dimostrare, con riferimento all'assenza di un lavoratore a tempo indeterminato.

Mancanza della forma scritta
La nuova disposizione è sostanzialmente identica a quella previgente, e si deve quindi evidenziare che si tratta di forma scritta prevista ad substantiam, in assenza della quale si avrà la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato: va infatti ricordato che, ai sensi di quanto previsto dall'articolo 1 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di lavoro.
Tale conversione, oggi, opera anche laddove non si sia proceduto a specificare la causale di assunzione a termine (ove richiesta), nonché ove tale “esigenza” non sia ritenuta fondata da parte del giudice.
In pratica, la violazione degli obblighi riguardanti la forma scritta (per la stesura del contratto e per l'indicazione della “esigenza”) comporta l'inesistenza del termine, con la conseguenza che le parti, mancando l'atto scritto, avranno stipulato un contratto a tempo indeterminato, con quel che ne deriva in tema di insussistenza del termine finale, disciplina del recesso, computo nell'organico aziendale, percorsi automatici di carriera eventualmente previsti dal CCNL eccetera (Min. lav., circolare 30 luglio 2014, n. 18). Tale principio trova unanimi la giurisprudenza di legittimità e quella di merito (v. Trib. Salerno 7 maggio 2003).
Ne consegue che la forma scritta è, al netto delle poche eccezioni previste (quasi) sempre obbligatoria.

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