Previdenza

Su età e garanzia ai giovani l’opzione ritocchi parlamentari

di Davide Colombo e Marco Rogari.

In attesa di conoscere la mini-dote che il Governo metterà in campo per finanziare alcune delle misure previdenziali studiate al tavolo di confronto con i sindacati, prende sempre più corpo l’ipotesi di un rinvio, magari deciso in Parlamento, della decisione sull’adeguamento dei requisiti di pensionamento 2019 a 67 anni in virtù dell’aspettativa di vita Istat che dovrebbe essere presa entro l’autunno. L’obiettivo è guadagnare qualche mese per, eventualmente, ripensare questo meccanismo. Il nodo è delicato perché espone al rischio di rilievi europei su uno “stop” politico all’attivazione di un stabilizzatore automatico della spesa previdenziale. Anche per questo motivo il ministero dell’Economia continua a frenare, sordo al pressing sindacale che resta alto in vista dell’ultimo round di confronto con il ministro, Giuliano Poletti, previsto tra il fine settimana e l’inizio della prossima.

Alla fine Palazzo Chigi, proprio per evitare eccessive tensioni con Cgil, Cisl e Uil, potrebbe decidere di far slittare all’inizio della prossima estate la firma dell’apposito provvedimento amministrativo. Ma anche se il governo non dovesse effettuare scelte il rinvio potrebbe comunque arrivare, come detto, con un emendamento parlamentare alla manovra che sarà varata tra domenica e lunedì.

Quella sulle pensioni si annuncia dunque come un’operazione in più tappe che potrebbe contribuire a sciogliere un altro nodo: quello del rafforzamento dell’assegno pensionistico da garantire ai giovani con carriere discontinue. Che però rischia di restare al palo per la mancanza di risorse.

Alla fine di agosto il Governo aveva presentato al tavolo del confronto con i sindacati una proposta tecnica finalizzata a introdurre non una vera pensione di garanzia ma una rete di misure di sicurezza per assicurare ai giovani “contributivi” un assegno minimo di circa 660-680 euro, maggiorazioni sociali comprese, e la possibilità uscire prima dei 70 anni di età e con 20 anni di contributi avendo maturato un trattamento pari a 1,2 volte l’assegno sociale invece delle 1,5 volte attualmente previste. Il progetto poggiava anche sulla cumulabilità tra pensione contributiva e assegno sociale che verrebbe operativamente ripristinata (con l’entrata in vigore della legge Fornero era rimasta sostanzialmente solo sulla carta) e aumentata rispetto a quanto previsto originariamente dalla legge Dini dal 30% al 50%. Nella prima fase di attuazione l’intervento costerebbe circa 150 milioni l’anno mentre a regime si salirebbe a circa 1,5 miliardi. I sindacati, che avevano subito dato il loro parere favorevole, si aspettano che ora che queste misure trovino posto nella manovra. Anche in questo caso c’è la possibilità che la misura venga in prima battuta accantonata per poi magari rientrare in Parlamento sotto forma di emendamento, sempre che vengano trovate le coperture.

Nel testo della manovra dovrebbero invece entrare correttivi a Rita, la rendita integrativa anticipata, per consentire uno sgancio dai requisiti Ape, una misura non onerosa che avrebbe tra l’altro la forze di rendere più interessante l’adesione alla previdenza complementare da parte di molti lavoratori. Altra misura in campo è il bonus contributivo di 6 mesi per ogni figlio, fino a un massimo di due anni, da riconoscere alle lavoratrici; proposta governativa che i sindacati hanno rilanciato chiedendo un aumento del tetto a tre anni. Punto di compromesso che, come gli altri, dipende innanzitutto dalle coperture finanziarie. Altri ritocchi al margine, infine, erano previsti per i lavoratori usuranti e l’accesso all’Ape sociale per i “gravosi”. Mini-interventi che potrebbe concretizzarsi soprattutto sotto la spinta dei correttivi proposti dai gruppi parlamentari.

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