Rapporti di lavoro

Accordo transattivo impugnabile se mancano le reciproche concessioni

di Lorenzo Zanotti


L'accordo tra dipendente e azienda datrice di lavoro che non contempli reciproche concessioni tra le parti è privo di efficacia transattiva, ed è pertanto impugnabile dal lavoratore anche se convalidato in sede protetta.
Questo, in estrema sintesi, il principio recentemente espresso dalla Corte di cassazione (ordinanza n. 28448/18, depositata lo scorso 11 novembre), la quale ha confermato la decisione della corte territoriale con cui veniva riconosciuto il diritto di una lavoratrice alle differenze retributive inerenti il pregresso rapporto di lavoro, nonostante le parti avessero in precedenza sottoscritto un accordo in sede sindacale contenente ampie rinunce della lavoratrice nei confronti della società.
Secondo i giudici di merito tale accordo – pur siglato alla presenza di un rappresentante sindacale, che aveva provveduto ad avvertire la lavoratrice circa la definitività delle rinunce ivi contenute – configurava una mera “quietanza a saldo” della somma erogata alla lavoratrice a titolo di Tfr e non anche una valida rinuncia o transazione ai sensi dell'articolo 2113 del Codice civile, e come tale non era preclusivo della successiva azione giudiziale esperita dalla dipendente contro la società.
Dello stesso avviso la Suprema corte, la quale, in linea con il proprio precedente orientamento, ha ribadito come “la quietanza liberatoria rilasciata a saldo di ogni pretesa costituisca, di regola, una semplice manifestazione del convincimento soggettivo dell'interessato di essere soddisfatto di tutti i suoi diritti”, e sia, pertanto, “priva di alcuna efficacia negoziale”. Al contrario, affinché la stessa assuma natura di rinuncia o transazione in senso stretto è necessario che, dagli elementi di interpretazione contenuti nella stessa dichiarazione o desumibili altrove, “risulti che la parte l'abbia resa con la chiara e piena consapevolezza di abdicare o transigere su propri diritti”.
Senonché, nel caso di specie, occorreva dar rilievo alla circostanza per cui la lavoratrice si era limitata ad accettare il solo pagamento del Trattamento di fine rapporto, ovvero di una somma già riconosciutale per legge, a fronte del quale aveva dichiarato di non avere più nulla a pretendere dalla società e di ritenere “transatte e rinunciate tutte le azioni”. Pertanto, non solo la dipendente non aveva espresso alcuna volontà di volersi privare di diritti specifici e determinati, o quantomeno determinabili, ma neppure poteva ravvisarsi, all'interno del predetto accordo, lo scambio di reciproche concessioni che costituisce elemento indefettibile del negozio transattivo.
In assenza di tali requisiti, era del tutto irrilevante che l'accordo fosse stato convalidato ai sensi dell'ultimo comma dell'articolo 2113 del Codice civile, il quale esclude la possibilità di impugnativa delle conciliazioni sindacali solo in presenza di un effettivo negozio di rinunzia o transazione.
A quanto sopra si aggiunga che, per costante giurisprudenza di legittimità (non richiamata dalla sentenza in esame), occorre che l'atto, oltre ad individuare le reciproche concessioni delle parti a fini transattivi, identifichi con sufficiente chiarezza quale sia l'oggetto della controversia che le parti intendono transigere o prevenire, e che l'assistenza prestata al lavoratore dai rappresentanti sindacali sia effettiva, vale a dire che le singole rinunce e i contenuti dell'accordo siano stati effettivamente vagliati e compresi dal lavoratore con l'ausilio di questi ultimi.
Pertanto, ai fini dell'inoppugnabilità del verbale di conciliazione, non può ritenersi sufficiente quanto spesso si verifica nella prassi, laddove sovente la commissione di conciliazione si limita ad un mero richiamo degli effetti propri della conciliazione ai sensi degli articoli 2113 del Codice civile e 411 del Codice di procedura civile senza entrare nel merito dell'atto da convalidare, specialmente quando si trova in presenza di un accordo già raggiunto dalle parti in forma di scrittura privata ed è presente il legale che assiste il lavoratore.

L'ordinanza n. 28448/18 della Corte di cassazione

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