Contrattazione

Statali, quattro incognite sui nuovi contratti

di Gianni Trovati

La riforma del pubblico impiego, approvata in via definitiva 10 giorni fa, era necessaria per riaccendere la macchina dei contratti. E ora si attende, nel giro di alcuni giorni, la direttiva della Funzione pubblica all’Aran che aprirà le trattative per la Pa centrale e guiderà nei fatti le danze anche degli altri comparti. Ma la strada per i rinnovi veri e propri è ancora lunga, e complicata da almeno quattro ostacoli principali.

Le risorse

Il primo sono i soldi, e non solo a causa del non trascurabile fatto che per arrivare agli 85 euro a regime promessi dall’intesa del 30 novembre servono altri 1,2 miliardi nello Stato e altrettanti divisi fra regioni, sanità ed enti locali. Alla prima dote dovrà pensare la manovra d’autunno e ci riuscirà soprattutto se le prospettive di nuova flessibilità sul deficit che sembrano emergere da Bruxelles si tradurranno in realtà; la seconda, invece, andrà trovata all’interno del fondo sanitario e dei bilanci locali, e qui la questione si fa un po’ più complicata, anche se ovviamente nessun sindaco o presidente di regione mostra preoccupazioni ufficiali al riguardo. Quando arriverà il nuovo decreto con gli obblighi di stanziamento si dovranno far quadrare i conti tra nuovi contratti e l’aumento delle assunzioni appena sancito con la manovrina di primavera.

Il calendario

Ma oltre che sulla spesa, la questione economica solleva un rebus di calendario. Il rinnovo riguarda il triennio 2016-2018, e ovviamente le trattative dovranno abbracciarlo tutto, ma la copertura piena arriverà solo dal prossimo anno se la manovra riuscirà nell’impresa. Com’è possibile, allora, scrivere una direttiva, e soprattutto farla approvare dalla Ragioneria generale, se vanno ancora trovati i soldi per gli aumenti a regime, quelli a partire dall’ultimo dei tre anni contrattuali?

Dopo otto anni di blocco, sia i problemi sia le procedure per risolverli sono inediti, per cui la sfida non è semplice. Per uscirne, la direttiva potrebbe seguire la strada tracciata dall’ultimo Def, che cita l’accordo del 30 novembre, ma non ne calcola gli effetti nelle tabelle. Ottenuto il via libera della Ragioneria, sarebbe questa la base di trattativa fra Aran e sindacati. I numeri, del resto, non sono difficili da calcolare: con i finanziamenti già decisi dalle ultime due manovre ci sono circa 10 euro di aumento medio a valere sul 2016 e poco meno di 40 su quest’anno, per arrivare il prossimo all’obiettivo degli 85 euro scritto nell’intesa.

La distribuzione

Queste, però, sono le cifre medie. Ma come distribuirle fra i tre milioni di dipendenti pubblici? La ministra della Pa, Marianna Madia, ha ripetuto in più occasioni che gli aumenti dovranno guardare prima di tutto alle fasce di reddito più basse e la direttiva sulla Pa centrale dovrebbe confermare questa idea della “piramide rovesciata”: sul tema, però, andrà cercato un accordo preventivo con regioni ed enti locali, perché non è facile ipotizzare “piramidi” troppo diverse da settore a settore.

I nuovi comparti

Tra i compiti ambiziosi dei nuovi contratti c’è poi quello di avviare in concreto il ridisegno della pubblica amministrazione, che sulla carta ha ridotto a quattro (in realtà cinque, perché Palazzo Chigi rimane autonomo) gli undici comparti in cui era divisa fino a ieri. Per sanità ed enti territoriali cambia poco, perché i confini sono rimasti praticamente identici, ma per il comparto della “conoscenza”, che unisce scuola e personale non docente delle università, e soprattutto per la Pa centrale, dove confluiscono ministeri, agenzie fiscali ed enti pubblici, la sfida è complessa.

Obiettivo degli accorpamenti, decisi l’anno scorso ma previsti dalla riforma Brunetta del 2009, è quello di armonizzare l’impianto degli stipendi, ma viste le tante differenze è difficile che i nuovi contratti si infilino davvero in questo costoso ginepraio. Le intese si limiteranno probabilmente a dettare poche regole comuni sulle materie che si prestano, lasciando sostanzialmente inalterato il quadro attuale. Il quadro è complicato dal fatto che, per salvaguardare «specificità professionali» all’interno dei comparti, si possono istituire delle sezioni su misura. Soprattutto nell’area della dirigenza la tentazione è forte, anche per risolvere le incognite sulla collocazione di figure come i dirigenti tecnici della sanità o i segretari comunali. Ma l’incognita maggiore riguarda le agenzie fiscali, che non hanno mai digerito l’assorbimento nel «compartone» e puntano a mantenere, anzi a rafforzare con la riforma, un’autonomia di gestione.

I nodi, insomma, sono parecchi, ma il tempo per scioglierli è poco. Molti settori, scuola in primis, premono per una trattativa a tappe forzate, con l’obiettivo di firmare i contratti in autunno e rendene operativi gli effetti dal 1° gennaio: ma la fretta è generalizzata, anche perché la politica parla in modo sempre più insistente di legge elettorale ed elezioni anticipate. E una chiusura anticipata della legislatura metterebbe un’altra volta in fuorigioco i nuovi contratti.

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